In Italia abbiamo un Dipartimento delle Comunicazioni presso il Ministero dello Sviluppo economico con tanto di viceministro per le comunicazioni, due Commissioni parlamentari – una per ciascun ramo del Parlamento – con una specifica competenza in materia di comunicazioni, una neonata Agenzia per l’Italia digitale, una Cabina di regia per l’agenda digitale italiana, un’Auorità per le garanzie nelle comunicazioni e una per la tutela dei dati personali e la riservatezza, la Fondazione Ugo Bordoni, Istituzione di Alta cultura e ricerca soggetta alla vigilanza del Ministero dello Sviluppo economico e specializzata nel settore delle telecomunicazioni e, infine, da qualche mese, un Mr. Agenda con uno staff di vicemister.
Una pletora di soggetti – cui ne vanno aggiunti, certamente, tanti altri meno noti (o che sto dimenticando) – che, a vario titolo, si occupano o dovrebbero occuparsi di regole, telecomunicazioni e sviluppo digitale del Paese.
È per questo che la vicenda della nuova – ma già vecchia – disciplina sul wifi pubblico lascia senza parole e non può essere archiviata come uno dei tanti pasticciacci digitali dei quali, purtroppo, la storia degli ultimi anni è piena zeppa come conferma – ammesso che non sia sufficientemente palese – la pietosa condizione nella quale versa il nostro Paese in termini di diffusione di Internet e attuazione dell’agenda digitale europea.
È una di quelle vicende nelle quali i fatti, nudi e crudi, valgono più di un fiume di opinioni.
Nelle scorse settimane, a sorpresa, il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato infila in un provvedimento d’urgenza – l’ormai famoso decreto del fare (non è chiaro che cosa) – una norma che, a suo dire, dovrebbe liberalizzare il c.d. wifi pubblico ovvero semplificare la vita agli esercenti commerciali che intendano consentire ai loro clienti di accedere a Internet in modalità wifi.
Il ministro non lo sa e, nessuno glielo dice, ma, in realtà il wifi – per usare le sue stesse parole – è già liberalizzato da anni, ovvero da quando, faticosamente, sono state abrogate le disposizioni contenute nel vecchio decreto legge antiterrorismo che porta il nome dell’allora ministro dell’interno, Giuseppe Pisanu.
Il risultato è paradossole: si liberalizza – con decreto legge e, quindi, d’urgenza – un’attività già “liberalizzata” e, peraltro, lo si fa con una norma scritta così male che sembra persino reintrodurre alcuni dei vecchi obblighi ormai abrogati, contenuti nella vecchia disciplina antiterrorismo.
Nessuno della pletora di soggetti che dovrebbero occuparsi di comunicazioni e digitale nel nostro Paese viene consultato tanto che il Garante della Privacy, Antonello Soro, nei giorni scorsi è costretto a prendere carta e penna (purtroppo non solo per modo di dire) e scrivere al Governo dicendosi preoccupato per l’iniziativa che avrebbe, addirittura, dei profili di illegittimità in relazione alla disciplina europea.
In uno scenario di questo tipo, in qualsiasi Paese normale, Governo e Parlamento correrebbero ai ripari e si precipiterebbero a chiedere a tutti gli enti e le autorità con competenza in materia – per inciso pagati con risorse pubbliche – suggerimenti per “mettere una toppa”, in sede di conversione in Legge del decreto, alla cialtronata uscita da qualche burocrate del Ministero dello Sviluppo economico.
Ma non in Italia. Non una sola telefonata – inutile pensare all’invio di una mail – parte all’indirizzo dei tanti che, certamente, in materia, ne sanno di più.
La conseguenza è che una situazione già paradossale minaccia di diventare grottesca.
La Commissione Comunicazioni del Senato della Repubblica, infatti, ha approvato un emendamento alle disposizioni pseudoliberalizzatorie del ministro Zanonato, trasformandole in norme di contro-liberalizzazione ovvero restauratrici di un insieme di obblighi addirittura più stringenti ed onerosi per gli esercenti commerciali che vogliano condividere le proprie risorse wifi di quelle vigenti ai tempi dell’abrogato decreto Pisanu.
Sono disposizioni di legge che se varate in via definitiva condannerebbero all’estinzione il wifi pubblico in Italia.
Si tratta, peraltro, di norme con uno straordinario impatto sulla disciplina della privacy, ancora una volta, varate senza nulla chiedere alla competente Autorità Garante e ignorando la posizione da quest’ultima già manifestata.
Vale la pena lasciare sintesi e conclusioni ai fatti.
Il Governo vara per mano del ministro dello Sviluppo economico – in via d’urgenza – una norma in materia, tra l’altro, di pubblica sicurezza, telecomunicazioni e privacy senza sentire né il ministro dell’Interno, né il proprio Dipartimento delle Comunicazioni che pure è guidato da un autorevole viceministro, né l’Autoritá garante per le Comunicazioni, né il Garante Privacy né nessun altro tra i tanti enti che pure avrebbero potuto dare qualche prezioso suggerimento.
Il Parlamento, dal canto suo, anziché rimediare alla “frittata”, minaccia di far peggio perché, con altrettanta cialtroneria, si mette a giocare ad emendare la norma, senza consultare nessuno dei soggetti di cui sopra.
Un’attività faticosamente liberalizzata e centrale nella digitalizzazione del Paese, rischia ora l’estinzione.
La cialtroneria analogica di governanti, parlamentari e burocrati, minaccia di ammazzare il futuro digitale del Paese.