Troppi emendamenti presentati al testo, e di carattere opposto: Pd e Pdl rischiano di spaccarsi sulla riforma che arriverà alla Camera il 26 luglio. In serata ci sarà un vertice con il ministro Quagliarello e i relatori di maggioranza, per trovare una soluzione. Ma il premier avrebbe già pronto un decreto legge, in caso di fallimento in aula
Sul finanziamento pubblico ai partiti non c’è ancora un accordo fra Pd e Pdl: gli emendamenti presentati la settimana scorsa sono tanti e troppo diversi tra loro per pensare che quando il testo arriverà in aula, fra quattro giorni (il 26 luglio), tutto si risolva senza intoppi. Il rischio che la maggioranza, già in fibrillazione, vada in cortocircuito sulla riforma è concreto. Per questo il governo ha deciso di prendere in pugno la situazione, tentando di serrare i ranghi e convocando, a sorpresa, un vertice di maggioranza (con il ministro Quagliariello e i relatori di maggioranza, tra gli altri).
L’obiettivo è cercare una linea comune. Anche se, secondo voci di corridoio, il premier Enrico Letta avrebbe già pronto un ‘piano B’, in caso di fallimento alla prova dell’Aula: un decreto legge per superare le divisioni ‘politiche’ su una legge troppo importante per il governo, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica. E c’è già chi, come l’ex tesoriere Ds Ugo Sposetti ha ironizzato sulla mossa dell’esecutivo: “Quando il governo è in difficoltà rispolvera il tema dell’abolizione del finanziamento pubblico, che piace alla gente anche se poi non è la risposta ai problemi”. Ma il problema, come ha spiegato lo stesso Quagliariello, è che non si può più “tergiversare“: il governo è sì “disponibile al confronto ma non per andare alle Calende Greche”. E infatti il premier Letta ha già fatto sapere che se non si sblocca l’impasse e non arriva il primo sì della Camera al ddl, il governo dopo l’estate presenterà un decreto.
Al momento gli emendamenti (presentati da Pd-Pdl e Sc) sono oltre 150. Nella riunione serale si cercherà una mediazione su alcuni emendamenti condivisi, da presentare a firma dei relatori, o sul ritiro delle proposte di modifica più controverse. Per ora non c’è alcun coordinamento tra le correzioni proposte. Tant’è che, ad esempio, il Pd propone di rafforzare il meccanismo di finanziamento indiretto attraverso il due per mille dei cittadini, passando a una percentuale del 2,5 per mille; mentre il Pdl il due per mille vuole abolirlo. Così come vuole cancellare l’assegnazione di sedi e spazi tv da parte dello Stato ai partiti (punto sul quale convergono solo emendamenti a titolo personale dei renziani del Pd). Democrat e berlusconiani rischiano poi di scontrarsi duramente sulla prima parte del ddl a firma di Enrico Letta, che prevede le regole di democrazia interna ai partiti e i requisiti degli statuti. Da parte sua, il governo mantiene una posizione ferma sul principio dell’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti e il passaggio a un meccanismo di libera scelta dei cittadini. Mentre sullo sfondo si accalcano gli emendamenti del Movimento 5 stelle, che il finanziamento pubblico ai partiti vorrebbero abolirlo, tutto e subito. Mozione destinata probabilmente a cadere nel vuoto, ma che aumenta la confusione sull’argomento. E il rischio che il governo possa cadere in qualche pericoloso passo falso.