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Caso Ablyazov, non solo Alfano: la fretta fatale di Cancellieri e Bonino su Alma

Dopo cinque giorni dall’espulsione, il ministro della Giustizia era convinto che fosse stato giusto spedire la moglie del dissidente nelle braccia del dittatore kazako. Anche se gli avvocati della famiglia avevano consegnato due fax per affermare la validità del passaporto

Ministro contro ministro. Se per il responsabile della giustizia della Repubblica Centrafricana il passaporto rilasciato alla moglie di Ablyazov era perfettamente regolare, per il ministro della giustizia italiano, Anna Maria Cancellieri, le cose non stanno così. “Mi sono subito informata e le procedure (dell’espulsione di Alma Shalabayeva, ndr) sono perfette. Tutto è in regola e secondo la legge”, così il ministro aveva sentenziato il cinque giugno scorso. Quanto afferma il ministro centroafricano Sende al Fatto Quotidiano è una clamorosa smentita dell’incauta dichiarazione. Dopo cinque giorni dall’espulsione, Cancellieri era ancora convinta che fosse stato giusto, formalmente, spedire una donna e una bambina di sei anni nelle braccia del principale nemico del padre, ricercato e dissidente. Tanto che il governo kazako ha precisato che il solo Ablyazov era ricercato, non certo la moglie e la figlia.

Cancellieri basava quel suo giudizio sulle decisioni del giudice di pace e delle procure di Roma, sia quella ordinaria che quella dei minori. Il giudice di pace aveva convalidato il provvedimento della prefettura di Roma che disponeva il trattenimento  presso il CIE di Ponte Galeria. Quella decisione del giudice di pace, che solo recentemente è finita nel mirino degli accertamenti del ministro Cancellieri, legittimò il 31 maggio alle 19 l’espulsione  via aereo di Alma e figlia. Alle 15 e 30 di quel giorno la Procura ordinaria tentò di bloccare la procedura quando l’aereo noleggiato dal governo kazako era già sulla pista. Gli avvocati dello studio Olivo, che difendono la famiglia Ablyazov, avevano infatti consegnato due fax rispettivamente provenienti dall’ambasciatore della Repubblica Centroafricana a Bruxelles e a Ginevra, che affermano l’autenticità e la validità del passaporto diplomatico della signora.

Alma Ayan (così denominato in quel documento) era titolare di un passaporto diplomatico del paese africano in qualità di consigliere del presidente. Quel passaporto però era falso, almeno secondo la Polizia di frontiera italiana che aveva realizzato una perizia (sulla base di quattro elementi, tra i quali  spiccavano due errori ortografici e la numerazione delle pagine). Il giudice di pace, tra la Polizia di frontiera e i fax dei diplomatici africani, si era fidato della prima e aveva convalidato  il trattenimento. Anche il pm Eugenio Albamonte della Procura di Roma, ricevuta la nota della Polizia di frontiera, alla fine aveva concesso il nulla osta al decollo. Un nulla osta, va precisato, che non entra nel merito della correttezza dell’espulsione, e che riguarda solo l’indagine sulla presunta falsità del passaporto che è ancora oggi aperta. Sostanzialmente il pm diceva alla Polizia che poteva rimpatriare Alma perché questo non avrebbe danneggiato l’indagine sul passaporto. Non perché era giusto farlo. La competenza sull’espulsione era del giudice di pace della Polizia. Ed entrambi pensavano che il passaporto fosse falso.

Solo sulla base di questa pretesa falsità Alma è stata consegnata agli emissari del governo kazako. Alma non aveva consegnato altri due documenti che le avrebbero permesso di restare in Italia ma che – secondo lei – l’avrebbero messa in pericolo con la sua famiglia, poiché rivelavano la sua identità di moglie di un ricercato. Resta il fatto però che il documento mostrato, quello diplomatico del Centroafrica, era vero e valido secondo l’unica autorità che poteva certificarne l’autenticità: il Governo Centrafricano. E non il giudice di pace o la polizia italiana. A rendere ancora più assurda questa storia è che Alma Shelbayeva era titolare di un regolare permesso di soggiorno in Lettonia, per ragioni di lavoro, che le permetteva di circolare legalmente nel territorio europeo compresa l’Italia. E di un secondo permesso di soggiorno in Gran Bretagna perché aveva ricevuto l’asilo in quanto moglie di un dissidente del regime kazako.

Le dichiarazioni del 5 giugno del ministro Cancellieri sono particolarmente gravi perché non arrivavano a caldo, prima che si conoscesse lo status di rifugiato di Alma Shalabayeva, ma dopo le prime polemiche sorte in Italia e nel mondo. Cancellieri sapeva che la donna aveva asilo politico in Gran Bretagna. Lo sapeva dalla stampa e già a quella data il ministro aveva i mezzi per saperlo ufficialmente. Questa notizia era nota alla Polizia italiana dal 4 giugno, che ne aveva ricevuto comunicazione via lettera dal capo della Polizia dell’immigrazione di Scotland Yard. Né il ministero della Giustizia, né quello degli Interni e nemmeno quello degli Esteri hanno contattato mai il ministro centroafricano. Oggi Emma Bonino riferirà in Parlamento e magari ci spiegherà anche il perché.

da Il Fatto Quotidiano del 24 luglio 2013