Le conseguenze dell’eccessiva medicalizzazione del parto sulla salute della donna e del bambino. Le ricadute in termini di costi per la salute pubblica. Il rispetto delle 15 raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della sanità secondo cui ogni donna ha diritto a essere coinvolta nella pianificazione del proprio percorso di nascita. La valorizzazione delle competenze ostetriche. E ancora una carta dei diritti delle partorienti, la promozione della demedicalizzazione e del parto attivo come unica strada per ridurre il tasso dei cesarei. Sono alcuni dei temi emersi nel corso dell’incontro “La medicalizzazione del percorso nascita e il corpo della donna in sala parto”, promosso da Freedom for birth-Rome Action Group, il primo movimento italiano che si propone promuovere il rispetto dei diritti umani al momento del parto. Al dibattito, che si è svolto nell’ambito della Festa del Pd di Roma, erano presenti la senatrice Laura Puppato, la consigliera regionale del Lazio, Maria Teresa Petrangolini, la dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di sanità, Angela Spinelli e la presidente della casa Internazionale delle Donne, Francesca Koch.

“Il nostro movimento, nato nel 2012 in occasione della prima mondiale del documentario Freedom For Birth, non vuole proporre un modello specifico di parto, ma affermare il diritto della donna a una scelta consapevole, anche attraverso la promozione di iniziative legislative, la raccolta di testimonianze di abusi, l’assistenza ostetrica, psicologica e legale”, afferma Virginia Giocoli, l’avvocata di Freedom. Tre le richieste rivolte al Governo: realizzare un’indagine conoscitiva parlamentare sulla medicalizzazione del parto; avviare una raccolta dati sulle pratiche messe in atto dai diversi ospedali, attraverso la creazione di un osservatorio accessibile alle donne; il riconoscimento giuridico della violenza ostetrica inserendo all’articolo 1 della proposta di legge per il contrasto della violenza di genere che sarà presto discussa in Parlamento, anche questa forma e definizione di abuso, come già avvenuto in Venezuela nel 2007. Proposte che la senatrice Laura Puppato ha detto di voler accogliere, definendo l’eccessiva medicalizzazione “un business sul corpo delle donne” e ribadendo che “è necessario fornire alle Regioni delle linee guida, perché il dislivello nelle modalità di assistenza e conduzione del parto nelle diverse parti di Italia è inaccettabile”.

Differenze sottolineate anche da Angela Spinelli, secondo cui “il tasso dei cesarei nel nostro paese si aggira infatti intorno al 38%, con punte regionali del 60% in Campania e dal 20% all’87% in alcune cliniche convenzionate del Lazio, quando l’Oms raccomanda una percentuale del 10-15%”. Per Maria Teresa Petrangolini, in passato segretaria nazionale del Tribunale per i diritti del malato “è difficile oggi ridurre il tasso dei cesari se non si interviene sulle pratiche di eccessiva medicalizzazione che innescano un processo per cui il cesareo diventa poi necessario. Per questo la Regione Lazio ha introdotto una procedura di valutazione che analizzerà l’operato dei direttori generali delle Asl in base al raggiungimento degli obiettivi assegnati. Nel caso dei tagli cesarei si punta a ridurre il numero del 20% rispetto al 2012”. Una posizione condivisa dal movimento stesso che a novembre sarà in Belgio, in rappresentanza dell’Italia, per la prima conferenza mondiale per i diritti umani al parto.

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