E' stata annunciata la lista dei lungometraggi che parteciperanno alla manifestazione che si terrà dal 28 agosto al 7 settembre 2013. Tre gli autori italiani: Amelio, Emma Dante e Gianfranco Rosi
Un buona dose di divi statunitensi – Clooney, Cage, Damon -, tre film italiani che sanno di scommessa – Amelio, Emma Dante e Gianfranco Rosi -, e una serie di cineasti d’essai – Miyazaki, Tsai Ming-liang, Groening, Garrel – di ritorno al Lido per puntare al Leone d’Oro. Ecco servita la sintetica line up della 70esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia che vedrà concorrere dal 28 agosto al 7 settembre 2013, sotto il vigile occhio del presidente di giuria Bernardo Bertolucci, 21 titoli in concorso, più i 17 della sezione Orizzonti e i 20 del Fuori Concorso.
“Il festival è una foto del cinema di oggi con le sue contraddittorie componenti, un’istantanea della situazione della produzione contemporanea per il grande schermo, un occhio al mercato, un altro al cinema d’autore”, ha spiegato il direttore Alberto Barbera.
Film d’apertura sarà Gravity (in 3D), lo sci-fi diretto al Alfonso Cuaron con George Clooney e la rediviva Sandra Bullock, poi si passa subito alla pattuglia hollywoodiana in Concorso strappata al concomitante Festival di Toronto. In anteprima mondiale ci sono Night Moves della regista Kelly Reichardt, con la giovani star Jesse Eisenberg (lo Zuckerberg di The Social Network), dramma incentrato su tre ecoterroristi che vogliono far saltare una diga; il discusso Parkland di Peter Landesman che prende il teen idol Zac Efron e lo piazza con un cast di comprimari di lusso nell’ospedale dove il 22 novembre del 1963 arrivò il cadavere di Jfk; Joe di David Gordon Green con un Nicholas Cage barbuto e redneck alla ricerca di una universale redenzione; il documentarista Errol Morris che con The Unknown Known: the Life and Times of Donald Rumsfeld, racconta uno dei più discussi politici repubblicani dell’era Bush jr; James Franco, infine, ha riadattato Child of god, uno dei primi romanzi di Corman McCarthy (Non è un paese per vecchi) e ne ha fatto un ritratto sulla violenta America di provincia anni sessanta.
Matt Damon e Cristopher Waltz saranno invece i protagonisti del film fantastico The Zero Theorem, diretto dall’ex Monthy Python Terry Gilliam e l’aliena Scarlett Johansson protagonista di Under the skin di Jonthan Glazer. Poi ancora: Philomena di Stephen Frears, The Police officer’s wife del tedesco Philip Groning, i nuovi film di Miyazaki, Amos Gitai e Xavier Dolan. Senza dimenticare tra i Fuori Concorso il Moebius del coreano Kim Ki-Duk vincitore del Leone d’oro 2012, il seguito dell’horror Wolf Creek, The Canyons di Paul Schrader, il documentario di Ettore Scola su Fellini.
Altro azzardo la triade di italiani in concorso: L’intrepido, la prima commedia leggera di Gianni Amelio con Antonio Albanese attore principale; Via Castellana Bandiera, il debutto della regista teatrale Emma Dante e il documentario Sacro GRA del mai giustamente considerato Gianfranco Rosi, sul grande raccordo anulare di Roma.
“Chi non vorrebbe in concorso i Coen o Jarmusch? Ma quei film se li è già presi Cannes. A volte occorre assumersi dei rischi come ad esempio mettere in concorso due documentari”, ha spiegato Barbera, “I film non vengono presi perché non sono pronti, o li abbiamo visti e non ci sono piaciuti, o la produzione del film non è disposta a portare il proprio lavoro senza il supporto marketing della star di turno che sta lavorando su un altro set. Noi però non facciamo il lavoro di portare gli attori sul tappeto rosso perché i motivi più importanti sono quelli di carattere economico: oggi costa tantissimo portare le star con il loro ricco staff al Lido e bisogna fare i conti con questa situazione”.
Ancora viva, infine, la polemica del mondo del cinema italiano sul taglio del Tax Credit che per i giorni del Festival ha minacciato azioni simboliche di disturbo se il governo si presenterà al Lido: “Se allo stato attuale ci sono delle tinteggiature forti in merito alla questione del tax credit”, ha gettato acqua sul fuoco il presidente della Biennale, Paolo Baratta, “mi sento comunque fiducioso nella composizione felice della contesa. Penso insomma a una possibile soluzione soddisfacente”.