Da anni il Lingotto è nel patto di sindacato del Corriere della Sera e possiede La Stampa. Anche se una norma ritiene il troppo controllo sui giornali un pericolo. Non si può infatti arrivare a controllare oltre il 20% della tiratura complessiva dei giornali
L’oggetto del contendere non è un prodotto di mercato qualunque. L’editoria, o meglio la proprietà dei giornali, è regolata dalla legge che, come per la televisione, fissa norme finalizzate a garantire il pluralismo ed evitare pericolose forme di concentrazione.
La posizione dominante
Innanzitutto, la legge n. 416 del 1981 che prevede precisi limiti contro la concentrazione della proprietà dei giornali e norme sulla trasparenza dei trasferimenti e sull’intestazione delle quote delle società di settore. Per quanto riguarda il pericolo di concentrazioni editoriali, la legge dispone che gli atti di cessione delle quote di proprietà delle imprese editrici di giornali quotidiani sono nulli se chi compra venga ad assumere una “posizione dominante” nel mercato editoriale. L’articolo 3 della successiva legge n. 67/1987 configura poi come “posizione dominante” nel mercato editoriale quella posizione che consenta di superare il limite del 20 per cento della tiratura complessiva dei quotidiani in Italia.
La domanda è: se Fiat, che già detiene la proprietà della Stampa, dovesse acquisire il controllo del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport (anch’essa di Rcs), supererebbe il limite del 20 per cento di tiratura complessiva previsto dalla legge? Ma non sono solo le norme sull’editoria a porre limiti alla proprietà dei giornali. Anche il testo unico della radiotelevisione (n. 177 del 2005) impone che nei mercati che formano il famigerato Sic (Sistema integrato delle Comunicazioni) non ci siano posizioni dominanti. Uno di questi mercati è quello dei quotidiani e dunque l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, cui è deputato anche il controllo sui limiti di tiratura, dovrebbe accertare se dall’operazione in corso derivi un’ipotesi di dominanza vietata ai sensi dell’art. 43 della stessa legge. Per il momento sembra essersi mossa l’Antitrust che però interviene ad un livello superiore, cioè quello relativo all’abuso di posizione dominante.
Resta invece sullo sfondo il ruolo del patto di sindacato, un accordo che risale al 1997 tra i principali azionisti (Fiat, Mediobanca, Generali, Intesa ed altri) che consiste in un sindacato di blocco e consultazione nella gestione delle azioni della Rcs Mediagroup. Il patto ha come oggetto la disciplina del trasferimento delle azioni da ciascuno dei partecipanti, per dare continuità alla presenza dei pattisti nell’azionariato della società.
Il patto di sindacato
Oggetto dell’accordo è anche la consultazione, per il tramite della direzione del sindacato, per la nomina dei vertici della società e soprattutto l’impegno da parte dei singoli partecipanti di non acquisire il controllo del giornale. I fatti di questi giorni però rischiano di mettere in discussione l’esistenza di questo “salotto buono”, dando alla Fiat un ruolo predominante. D’altra parte, il patto, prevedendo la libertà di voto in assemblea dei suoi partecipanti e la sostanziale parità tra gli stessi, ha consentito fino ad oggi a Fiat, proprietaria della Stampa, di possedere una quota importante, seppure non di controllo, del Corriere senza che ciò determinasse l’esercizio di un’influenza notevole su Rcs rilevante ai fini del calcolo delle soglie di dominanza previste dalla legge. Sono in corso consultazioni incrociate fra i soci del patto di sindacato per stabilire una data di incontro per la fine del mese di luglio, dopo le sottoscrizioni dell’aumento di capitale.
In un clima incerto (anche per l’identità di chi ha sottoscritto l’inoptato) l’accordo tra i principali soci del Corriere si ripresenta con nuovi equilibri e soprattutto con un punto interrogativo sul suo futuro. A metà settembre infatti scatteranno i termini per poter esercitare le facoltà di recesso dai vincoli del patto stesso. C’è infine un aspetto che riguarda le ragioni che hanno spinto Fiat a questo cospicuo investimento. Marchionne ha detto che si tratta di una scelta strategica, affermazione poco comprensibile in un mercato come quello dell’editoria in forte crisi. Ma qui si apre il capitolo dell’informazione italiana che, a partire da quella televisiva e salvo poche eccezioni, è terra riservata da sempre alle brame degli stessi gruppi economici e di potere.
*Nicola D’Angelo è un ex Commissario Agcom
da Il Fatto Quotidiano del 17 luglio 2013