Un maestro. Un’esordiente. Un documentarista. Il tricolore concorrente a Venezia 70 dal 28 agosto al 7 settembre è così composto. E sulla carta sembra una selezione “a quote”. Ma non lo è. Perché i tre autori con relativi film scelti a gareggiare per il Leone d’Oro 2013 sono diversamente equipaggiati di altissimo profilo ciascuno in ambiti artistici che si fanno reciproca staffetta.
A Gianni “Il maestro” Amelio non servono presentazioni. Porta al Lido L’intrepido con Antonio Albanese protagonista assoluto del “rimpiazzo”. Un uomo che cambia lavoro ogni giorno, finché tiene la salute. Una commedia (perché c’è Albanese) tinta di dramma (perché c’è Amelio) o viceversa. Fatto sta che il produttore del film l’ha definito “come una nuvola: mentre lo guardi cambia forma”.
Sulla carta atteso almeno quanto il debutto in “lungo” per il cinema di Emma “l’esordiente” Dante con Via Castellana Bandiera. Chi abbia un minimo di alfabetizzazione teatrale sa bene che la Dante è una delle principali voci del palcoscenico “di livello” italiano (e non solo), essendo anche titolare di una sua compagnia chiamata Sud Costa Occidentale. Si cimenta con il cinema, stavolta. E fila in concorso con un’opera “total pink” di cui è tra le interpreti al fianco di Alba Rohrwacher ed Elena Cotta. Difficile imbrigliare il lavoro di Emma Dante in un genere, e per fortuna, visto che già ad essere imbrigliate sono le tre protagoniste chiuse in un cul-de-sac di traffico di una strada palermitana, Via Castellana Bandiera appunto. Nessuna vuole cedere il passo all’altra, tutte si prestano all’inevitabile metafora di quest’Italia irrimediabilmente stagnante.
E di strade, anzi di una lunghissima strada circolare, si racconta anche nel film di Gianfranco “il documentarista” Rosi, Il Sacro GRA. Sì, diciamolo, si tratta di un documentario finalmente messo in concorso. Esattamente come Cannes mise in gara per la Palma d’oro (che vinse) il “mitico” Michael Moore con Fahrenheit 9/11 nel lontano 2004, facendo impazzire di gioia l’allora presidente di giuria Quentin Tarantino. Embé? Non sono forse i documentari dei film a tutto tondo? Altrove senza dubbio, in Italia restano ancora discriminati: film di Serie B.
La Mostra che compie 70 edizioni (“il più antico festival del mondo”, rammentano ogni volta i direttori artistici, tra cui non si sottrae Alberto Barbera) vuole sdoganarli, e lo fa promuovendo in Serie A uno dei migliori (forse il migliore, oggi) film-maker italiani. Che poi non è così tanto italico, essendo nato ad Asmara e vissuto quasi sempre negli States dove ha studiato e si è acquisito la cittadinanza (doppia, con quella italiana). Rosi sui 70km del Grande Raccordo Anulare circostante Roma ci ha vissuto 3 anni senza mollare un secondo la presa, annusando l’intensità di un ecosistema unico nel suo genere, ricco di personaggi “marginali” foss’anche per la location che abitano.
Tre film che aspettano di essere visti, e non pre-giudicati. Ma non solo concorso. Accanto ai sopracitati, i film prodotti (o coprodotti) dal Belpaese che sfileranno al Lido arrivano a 21 opere solo nella selezione ufficiale della Mostra, 3 nella Settimana della critica, 3 nei Venice Days – Giornate degli Autori, per un totale di 30. Cifra tonda capitanata da un evento speciale condiviso dalle tre sezioni: il documentario Lino Micciché, mio padre. Una visione del mondo di Francesco Micchiché, ovviamente dedicato al grande cine-critico, intellettuale, professore, fondatore, animatore e “presidente” di mille istituzioni, non per ultima la Biennale di Venezia. Imprescindibile in questa sede.