Di questo contesto fa parte anche la vicenda di Amina, che ha avuto nuovi sviluppi finora sconosciuti ai lettori italiani. La vediamo fiera e combattiva, in mezzo agli agenti, sul banco degli imputati. Il capo scoperto – anche se in Tribunale è d’uso sulle donne un velo chiaro che sembra un saio – capelli biondi alla maschietta, la maglietta rosa, un tatuaggio sul braccio con l’immagine di Arafat, Amina stringe e sostiene accanto a sè una ragazza più minuta e spaurita, che il saio invece lo ha indossato. Si chiama Rabia.
E’ per difenderla da un castigo umiliante degli agenti di custodia che Amina ha litigato con alcune guardie in carcere ed è stata accusata di oltraggio e vilipendio. Ora tutt’ e due – ma soprattutto Amina – sono sul banco delle imputate, in un processo che si è aperto lunedi 22 e che dovrebbe arrivare a sentenza entro una settimana.
La difesa punta il dito su una clamorosa contraddizione dell’impianto accusatorio: il procuratore ha aperto l’indagine il 10 giugno, ma la data del presunto oltreggio è il 15.
Un nuovo capitolo si è dunque aperto nella storia di Amina, la Femen tunisina in carcere, mentre non si è ancora chiuso quello per cui è detenuta in attesa di processo, cioè la presunta “profanazione” del cimitero di Kairouan avendo scritto Femen su un muretto. Nel frattempo la famiglia si è compattata attorno a lei, e anche la madre – la stessa che l’aveva praticamente sequestrata pochi mesi fa dopo la foto a seno nudo su Facebook – questa volta è venuta col padre e la zia a solidarizzare al tribunale.
Alla difesa di Amina continuano ad aggiungersi nuovi avvocati, come la prestigiosa Radhia Nasraoui, madrina delle battaglie per i diritti umani. A livello internazionale hanno preso posizione per la scarcerazione di Amina l’Organizzazione contro la tortura e la Federazione Leghe per i diritti dell’uomo, incaricando due altri legali di raggiungere il collegio di difesa, un parigino e una mauritana.
Alla vigilia del processo Amina ha diffuso un messaggio che sembra una poesia, “Non ho paura, non sono pazza, sono libera, sono più libera di tanti che sono fuori dalla prigione, a guardare la dittatura religiosa che cerca di impadronirsi della Tunisia”.
L’opposizione laica ancora stenta a difendere apertamente Amina, ma questo nuovo profilo sui diritti umani delle detenute più che sulla provocazione del corpo, desta interesse e sarà presente nelle prossime giornate. Il 25 luglio, festa della Indipendenza, il 13 agosto, festa “della donna tunisina” e soprattutto il 6 agosto – sei mesi dall’assassinio del leader di sinistra Chokri Belaid – sono occasione di mobilitazione unitaria per l’opposizione agli islamisti. Lo ha annunciato da Milano – ospite della Festa Nazionale di Sel – Basma Kalfaoui, vedova di Chokri Belaid ed esponente di punta del Fronte Popolare che lavora per l’unità dell’opposizione.