Non un matrimonio qualunque, tra gente qualunque, ma tra cittadini modello, consapevoli che per ottenere e mantenere i propri diritti di autodeterminazione, può essere necessario anche lottare, pacificamente, fino alle estreme conseguenze.
Ozgur Kaya, 34 anni di Bursa e Nuray Cokol, 32 anni, nata e vissuta a Beyoglu, il quartiere in cui si trova Gezi park e l’attigua piazza Taksim, si sono innamorati e sposati nel giro di un mese durante una delle cerimonie più commoventi, provocatorie e divertenti di questi tempi di manifestazioni globali contro il potere. Incontratisi il 1° giugno in una delle infermerie di fortuna allestite da volontari a Gezi, Ozgur e Nuray per due settimane hanno parlato per più di qualche minuto solo un paio di volte. Ma questi due incontri “ravvicinati” sono stati cruciali. “Il 30 maggio, quando ho visto in internet il video in cui decine di poliziotti facevano irruzione durante le prime ore dell’alba nel parco di Gezi e trascinavano per i capelli, prendendoli a calci e a manganellate, i dimostranti che stavano dormendo nelle loro tende, dopo aver acquistato una tenda sono andato a Gezi, a protestare con gli altri “ciapulcu” (che significa “vandali”, il termine con cui Erdogan aveva inizialmente indicato i manifestanti, per poi definirli terroristi) per la libertà di espressione che per me è la base per vivere da cittadini e non da sudditi o schiavi”, racconta al Fatto. “Ho studiato per tre anni medicina, poi, per questioni economiche, ho dovuto lasciare e cominciare a lavorare. Ma aiutare la gente a stare meglio è l’unica attività che mi rende davvero felice, per questo continuo a studiarla e prima o poi finirò l’università”. I primi tre anni gli sono comunque bastati per imparare le regole base di pronto soccorso e anche di più, visto che lui e la neo moglie hanno dovuto ricucire 430 teste di giovani e adulti feriti dalle cartucce di gas lacrimogeno, sparate ad altezza uomo dalla polizia. “Stiamo parlando solo di teste perché è la zona più delicata, il numero dei feriti in altre parti del corpo, solo a Gezi, è circa il doppio, senza contare centinaia e centinaia di feriti durante le manifestazioni nelle altre città. Undici ragazzi hanno addirittura perso la vista a causa delle cartucce finite negli occhi”, interviene Nuray, infermiera diplomata che inizialmente aveva allestito in casa sua, dietro Taksim, una piccola infermeria perché la madre non voleva che andasse a Gezi a rischiare la vita.
Durante la cerimonia nuziale in municipio, con un parterre costituito soprattutto da gay, lesbiche, transessuali e supporter del Carsi (i tifosi più sfegatati e liberali del Besiktas), il momento più commovente è stato quando Nuray, togliendosi il caschetto bianco che usava a Gezi, e rimanendo solo col lungo velo bianco, ha scandito i nomi dei cinque ragazzi uccisi dalla polizia durante le manifestazioni. Lo sposo che vestiva una giacca bianco nera in onore della sua squadra, teneva in testa la maschera antigas che aveva usato durante gli attacchi della polizia. “Pur non avendo avuto molto tempo per parlare con Nuray perché ho dovuto allestire una terza infermeria più interna al parco dove la polizia impiegava più tempo ad arrivare, quando lei mi ha curato le ferite al collo e alla gamba, perché la polizia mi ha sparato con pallottole di gomma (dentro c’è una parte in acciaio), ho sentito che questa donna era speciale, così delicata e al contempo disposta a tutto per le sue idee”.
Dopo avergli bendato il collo, Ozgur ha chiesto a Nuray cosa potesse fare per ricambiare il favore di una medicazione così accurata. Lei ha allargato le braccia e gli ha detto: “Abbracciamoci c’è bisogno di più solidarietà in questo mondo”. Da quel momento in tutte e tre le infermerie di Gezi, quando medici, infermieri, assistenti, si sentivano troppo stanchi, si fermavano e si abbracciavano. “Perché avevamo sentito che l’abbraccio riusciva a rilassarci come se avessimo dormito ore, non le solite tre, dalle 4 alle 6 del mattino. Il giorno dell’assalto finale, il 15, quando ho detto a Nuray di scappare perché ormai era scaduto l’ultimatum della polizia, ho sperato di non morire o di non rimanere cieco o paralizzato perché avevo deciso che avrei sposato quella donna il prima possibile. Da quella brutta notte al giorno del matrimonio sono passati 35 giorni.
il Fatto Quotidiano, 25 Luglio 2013