Via d’Amelio, le forze dell’ordine e Paolo Borsellino
Come al solito il
ritorno da Palermo dopo il 19 luglio lascia sempre grandi emozioni e nei giorni successivi mi è spesso sembrato di essere la protagonista della pubblicità della Costa Crociere (pre Schettino). Quest’anno è stato particolarmente importante per me, per tante di quelle ragioni che non basterebbero due giorni per descriverle, per cui vorrei focalizzarmi su una soltanto.
Ho un passato di attivismo con un social forum, parte dei cosiddetti “new global” (e non, come erroneamente venivamo chiamati, “no global”) e… diciamo che le forze dell’ordine non sono state molto gentili con me in passato. Sono riuscite, nel 2001, a farmi passare dal desiderio di entrare in polizia a quello di non ritrovarmi mai più un poliziotto di fronte. E, anche se con il tempo e con le esperienze la mia rigidità mentale e il mio estremismo sono diminuiti, quella sensazione di sospetto e rabbia nei loro confronti non se ne è mai veramente andata.
Fino all’esperienza con le Agende Rosse. Ogni anno, in via d’Amelio, sono stata testimone di atti, piccoli e grandi, da parte di poliziotti e carabinieri che incrinavano, lentamente ma inesorabilmente, quel muro che avevo costruito intorno a me.
Come quello di Mario (i nomi sono tutti inventati, non si sa mai dovessi metterli in difficoltà), agente scelto di circa 50 anni che, assieme al cordone di suoi colleghi, aveva il compito di non lasciarci avvicinare a Gianfranco Fini mentre deponeva sotto l’albero di Paolo Borsellino la sua corona di morte. Doveva impedirmi l’accesso ma il suo “muro” divenne un abbraccio all’interno del quale le mie lacrime si mischiavano con le sue e, chiedendomi scusa, mi diceva che era dalla nostra parte.
O come quello di Sandro, messomi alle calcagna da un superiore per “controllarmi” e finito poi per proteggermi, facendomi scudo con il suo corpo contro alcuni attivisti che non gradivano il mio ricordare loro chi fossero i politici che si facevano belli alla testa al loro corteo.
O come quello di Marco e Daniele, due agenti della scorta di un magistrato che, vedendomi in difficoltà fisica ed emotiva, mi hanno accompagnato al bar, offrendomi un tè e facendomi compagnia, parlando con me ed esponendomi la loro opinione.
O come quello di Ivo ed Enrico che, una volta finito il turno in via d’Amelio, sono andati a casa a cambiarsi e tornati di corsa da noi, per continuare ad essere presenti come cittadini.
O come quello di Luigi, presente da tre anni in via d’Amelio, che ho scoperto oggi essere uno dei miei eroi di 10 anni fa.
In queste persone rivedo finalmente i volti delle decine di ragazzi che, il giorno dopo la strage di Capaci, si misero in fila fuori la porta del giudice Paolo per chiedere di essere inseriti nella sua scorta, consapevoli della finalità di quel gesto.
Molti pensano che il silenzio di queste persone spesso sia sintomo di mancanza di coraggio, di menefreghismo, di ignoranza. E a volte è così. Ma altre volte è invece un’impossibilità a fare altrimenti, altre ancora una scelta consapevole, quella del rimandare la loro protesta ad altre sedi, un combattere in un campo che è diverso dal nostro ma non per questo meno importante.
Il 19 mattina, con 4 ore di sonno sulle spalle, sono scesa dal letto ed ho sorriso al pensiero di rivedere queste persone. Che il cambiamento inizi anche da qui?
Ps. Il governo vuole modificare la Costituzione. Non basta non applicarla, ora vogliono anche cambiarla. Ma questa volta non staremo in silenzio! Stay tuned!