Nei giorni scorsi il Presidente dell’Autorità Garante per le comunicazioni, Marcello Cardani, in Parlamento aveva rassicurato tutti sul fatto che la sua Autorità avrebbe proceduto con prudenza ed equilibrio nel dettare le nuove regole sul diritto d’autore online e, soprattutto, che l’enforcement – ovvero i procedimenti di rimozione forzata dei contenuti – avrebbe rappresentato solo l’extrema ratio, giacché le attenzioni si sarebbero concentrate sull’educazione al consumo dei contenuti digitali da parte degli utenti e la promozione dell’offerta legale di contenuti da parte dei titolari dei diritti.
Parole di buon senso, parole di grande equilibrio ma, purtroppo, solo parole.
Lo schema di Regolamento pubblicato ieri sul sito dell’Authority, infatti, racconta una storia completamente diversa tanto da far pensare o ad Autorità in preda ad una gravissima crisi di schizzofrenia istituzionale o, peggio ancora, ad un Presidente che non controlla la penna che scrive i provvedimenti della sua Autorità.
L’altra possibilità è che a Cardani, il “marziano delle istituzioni”, sia bastato farsi un giro sul pianeta terra per far propri, immediatamente, i nostri peggiori costumi.
Lo schema di Regolamento che l’Autorità ha sottoposto alla consultazione pubblica estiva – in perfetto stile italiano– è, semplicemente, brutto, privo di equilibrio, drammaticamente sbilanciato proprio nella direzione delle misure di repressione che il Presidente dell’Authority aveva dichiarato di voler lasciare sullo sfondo, concentrandosi su altro. È un provvedimento che avrebbe potuto uscire indifferentemente dalla penna di uno qualsiasi dei tanti soggetti che negli ultimi anni si sono occupati della questione. Non c’è stata, purtroppo, nessuna folgorazione dell’Autorità sulla via di Damasco.
Liquidati, con poche norme, un groviglio di petizioni di principio ben scritte e qualche promessa sui profili dell’educazione al consumo di contenuti digitali e della promozione dell’offerta legale, nel nuovo-vecchio regolamento, per il resto, si parla solo di come garantire ai titolari dei diritti la rimozione dei contenuti ritenuti pubblicati in violazione dei propri diritti o, addirittura, l’inibitoria all’accesso.
Peccato sia andata così. Peccato si sia dovuto registrare lo spazio siderale che divide le parole del Presidente dell’Autorità dai fatti.
Ma veniamo al contenuto del Regolamento che, in realtà, ambisce ad essere un’autentica legge speciale sul diritto d’autore online ed a dettare regole nuove per la pubblicazione di qualsiasi contenuto editoriale – giornali inclusi – pubblicato o condiviso nello spazio pubblico telematico. Ci sarebbe tanto da dire, al riguardo, ma, per il momento, meglio concentrarsi sui due più macroscopici mostri giuridici cui l’Autorità pare intenzionata a dar vita.
Il primo è rappresentato dall’ostinata e pervicace determinazione con la quale l’Autorità pretende di arrogarsi un potere che non le compete: quello di scrivere le leggi.
L’Authority – forte, pare, anche di alcuni pareri di insigni costituzionalisti, sfortunatamente, non pubblicati (n.d.r. una scelta decisamente poco condivisibile sotto il profilo della trasparenza) – continua ad arrampicarsi sugli specchi alla spasmodica ricerca della propria legittimazione.
L’ultima trovata – più coreografica che giuridica – è quella di intitolare il provvedimento “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70“, quasi che la legittimazione dell’Autority derivasse dalla vigente disciplina in materia di commercio elettronico e responsabilità degli intermediari della comunicazione.
Naturalmente non è così. Le norme alle quali l’Autorità si riferisce si limitano a prevede che anche un’Autorità amministrativa – ammesso che una legge lo disponga – può ordinare ad un provider di rimuovere un contenuto o di disabilitare l’accesso al contenuto medesimo. Deve, però, trattarsi di una norma di legge scritta, come tutte le norme di legge, da chi le leggi può scriverle davvero: il Parlamento ed il Governo.
Ma non basta.
L’altro “coniglio” – perché di questo si tratta – tirato fuori dal cilindro dell’Authority è coreografico più del precedente: l’Autorità sarebbe legittimata a scrivere il nuovo regolamento perché una legge – il Codice delle comunicazioni elettroniche – la battezza, in una definizione, come “Autorità nazionale di regolamentazione”.
Difficile credere che ci sia davvero un insigne costituzionalista che abbia scritto una cosa del genere ma se c’è – visto che non si finisce mai di imparare – sarebbe opportuno che il suo parere venga pubblicato in modo che, da domani, nelle nostre facoltà di diritto si possa insegnare ai nostri studenti che, in Italia, le leggi può scriverle il Parlamento, il Governo ed ogni altro soggetto che venga definito, in una qualsiasi legge, con un nome che – anche se alla lontana – evochi l’idea che si tratti di soggetto in grado di scrivere una legge.
Non è così, naturalmente.
A parte l’ostinata pervicacia con la quale l’Autorità continua a pretendere di voler scrivere le leggi anziché limitarsi a farle rispettare senza peraltro cogliere la mostruosa anomalia della convergenza in un unico soggetto di due poteri che la costituzione vuole siano separati, il Regolamento, purtroppo, nasconde – male – una sola inaccettabile verità. L’istituzione di un sistema di giustizia sommaria nel quale la rapidità di definizione delle controversie è assicurato, semplicemente, comprimendo in tempi inaccettabili il diritto alla difesa e trasferendo la competenza a decidere dai Tribunali ad un’Autorità amministrativa di nomina politica.
È questa la pura e semplice verità. Non c’è nient’altro di “nuovo” nel regolamento.
Si prendono delle vicende delle quali oggi si occupano i giudici anche in via d’urgenza e si stabilisce che da domani, potrà occuparsene anche l’Autorità in maniera straordinariamente più urgente perché ai soggetti accusati di aver violato gli altrui diritti d’autore, si accorderanno tempi di difesa straordinariamente più brevi di quelli cui hanno diritto in Tribunale.
Il resto sono solo parole.
Non serve, infatti, continuare a scrivere e ripetere quasi si trattasse di un mantra di salvezza democratica e istituzionale che il regolamento prevede che l’Autorità debba astenersi dal decidere ogni qualvolta di una vicenda siano investiti i giudici. L’Autorità, infatti, sa benissimo che, nessuno, in Italia, andrà mai davanti ad un giudice – affrontando i costi e gli oneri di un processo dal quale i titolari dei diritti fuggono – per far valere il proprio diritto a che un proprio contenuto resti online.
È una posizione democraticamente “odiosa” quella dell’Authority perché è ipocrita. Non si può fingere di non sapere che quella che si sta varando è destinata a diventare la nuova legge speciale della materia.
Ora non resta che partecipare alla consultazione e, poi, prepararsi alla resistenza democratica che sarà necessaria per non far passare due principi egualmente pericolosi: quello che chiunque possa scrivere ed applicare le leggi quasi fosse un Sovrano assoluto e quello che si possa amministrare giustizia, fuori dai tribunali, facendo carne di macello del diritto alla difesa dei cittadini.
Guai, peraltro, a dimenticarsi che quando si parla di diritto d’autore online si parla anche – ma verrebbe da dire soprattutto – di libertà di parola e comunicazione nella più grande agorà di tutti i tempi. È questo il diritto che va difeso perché non è vero che difenderlo significa dichiarar guerra all’industria dei contenuti.
Si tratta solo di tradurre in regole quei principi di equilibrio ai quali il Presidente dell’Autorità, in Parlamento, aveva detto di voler ispirare l’azione della sua Authority.