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Nigeria e Corte dell’Aia, equilibri diplomatici precari

E’ trascorsa ormai una settimana dall’incidente diplomatico che ha opposto il governo della federazione nigeriana alla Corte dell’Aia (CPI), a proposito dell’arresto del presidente sudanese Omar Al-Bashir; la Nigeria ha ignorato l’ordinanza d’urgenza emessa dalla Corte che imponeva al Ministero degli Esteri nigeriano di arrestare e consegnare ai giudici dell’Aia il presidente sudanese, in visita per alcuni giorni nello stato dell’Africa occidentale per partecipare ad un summit continentale sull’Aids.

Le pessime relazioni tra l’Unione Africana e la CPI non hanno favorito certamente il dialogo e nel corso della settimana passata, si è assistito ad un’escalation di tensione (diplomatica) preoccupante: per ora si attende l’invio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, del dossier contro la Nigeria, preparato dai giudici del CPI  per violazione dell’art 87 dello Statuto di Roma e “A quel punto, dipenderà dall’Onu decidere se sanzionare o meno la Nigeria” ha informato un portavoce della CPI.

Ogni commento è rimandato al giorno delle decisioni del Consiglio di Sicurezza ma un punto è chiaro fin da ora: la Corte ha finalmente accettato di spingersi laddove avrebbe dovuto già da tempo, cercando di imporre sul terreno del diritto un’autorità che ancora, ben in pochi, le riconoscono. Dal canto suo, il governo nigeriano, ha tentato di chiudere il caso con un esercizio di “equilibrismo” all’occidentale: “La decisione di consentire la presenza del presidente sudanese è stata presa dalla conferenza dei capi di stato e di governo dell’Unione Africana pertanto la Nigeria, nel ruolo di stato ospitante del summit, si è esclusivamente adeguata, assicurando il rispetto dell’immunità diplomatica a tutti i rappresentanti istituzionali che vi hanno preso parte” ha infatti sostenuto il ministro degli esteri nigeriano Olugbenga Ashiru, nei giorni passati, durante un meeting tenuto con il personale diplomatico del paese africano.

Toni pragmatici ai quali si è accompagnata una conciliante dichiarazione di fedeltà all’Aia: “La Nigeria ha aderito con convinzione allo Statuto di Roma e si impegna a non adottare alcun provvedimento contrario al principio di giustizia universale” ha proseguito il ministro degli esteri dello stato africano, auspicando che più stati dei 122 attuali, adottino lo Statuto di Roma. Inclusi gli Stati Uniti.”

Tutto giusto ma Al-Bashir, ormai una “primula rossa” per la giustizia penale internazionale, è riuscito nuovamente a sfuggire alla cattura. Ed ora si guarda agli strascichi giudiziari: la richiesta di arrestare il presidente sudanese, inviata dai giudici dell’Aia al governo di Abujanon era infatti un invito scritto in prudente diplomatichese, una fumosa (ed inefficace) raccomandazione a firma di un organismo internazionale ma un provvedimento dotato della forza cogente propria di una risoluzione (la n.1593 del 2005) del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Le Nazioni Unite, infatti, nel 2005 avevano riferito alla CPI a proposito del caso Darfour, incaricando l’Aia di aprire l’indagine preliminare che si sarebbe conclusa poi nel 2009 con il mandato di cattura spiccato contro Al-Bashir. Che la Nigeria non avesse voce in capitolo, come sostiene il ministro degli esteri, sulla questione, è un fatto smentito da un precedente dello scorso anno che ha coinvolto il minuscolo (e poverissimo) stato del Malawi che proprio sulla questione Al-Bashir preferì annullare un summit dell’Unione Africana pur di non restare vittima del tiro incrociato tra i suoi partner continentali e l’Aia.  

Ma la situazione nigeriana è ben diversa: parliamo di una delle “tigri” dell’economia africana ed oltre allo scettro, conteso al Sud Africa di primo mercato del continente non sembra disdegnare l’ipotesi di ritagliarsi un ruolo di stato-guida nel sempre più strategio scacchiere africano. Ragioni che non sfuggono al Vecchio Continente e che peseranno certamente al Palazzo di Vetro.