Il gelato, come la pizza e il cibo da strada in genere, è da qualche anno di moda. Non che non fosse ora. La moda è sospinta dal dissesto finanziario e dalle ristrettezze economiche, che hanno orientato gli acquisti verso prodotti a basso costo, lanciando una nuova generazione di gelatieri: artigiani e catene, imprenditori e cantastorie. Favorendo in parte un rinnovamento del gelato, o comunque una maggiore attenzione al prodotto che viene detto “gelato artigianale”: nonostante la definizione sia più che ambigua, dato che non c’è una normativa a riguardo. Peraltro la definizione proposta da alcune associazioni di categorie, seppure generica, è dibattuta. Sicché più del 90% delle gelaterie usa semilavorati, il “neutro” e le tre “basi” a più livelli e contenuti di additivi alimentari: addensanti, emulsionanti, coloranti, stabilizzanti etc. Non che si evitino mono e digliceridi dei grassi alimentari, margarina, burro, olio di palma e oli vegetali raffinati in genere.
A tali semilavorati si aggiungono ingredienti più o meno freschi e pregiati, paste o, nel peggiore dei casi, aromi. Il latte ovviamente c’è chi lo usa fresco, chi a lunga conservazione e chi in polvere: e non è così facile fare una piramide di qualità, dato che alcuni dei migliori gelatieri d’Italia, aggiungono comunque latte in polvere (o panna) a quello fresco in fase di mantecazione. C’è poi il discorso degli zuccheri, quasi sempre usati in combinazione: saccarosio, destrosio, zucchero invertito, fruttosio, glucosio, isoglucosio… Tutti ingredienti indistintamente ammessi nel “gelato artigianale”.
Grom, il marchio italiano di gelato non confezionato più noto oggi al mondo, si qualifica invece come produttore di “gelato come una volta”. Fondato nel 2003 da due imprenditori lungimiranti (Martinetti e Grom appunto), non ancora trentenni, in soli 10 anni si è diffuso in oltre 30 città d’Italia. Oltre che a New York (in Usa il consumo pro capite di gelato è il doppio che in Italia) a Parigi e a Tokio. Insomma un fenomeno mondiale. Che afferma di non produrre gelato artigianale in quanto, come dichiarato recentemente “Il termine artigianale in questo settore non vuol dire necessariamente qualità. Che qualità c’è a tenere sotto il banco semilavorati industriali da mescolare con polvere e acqua? Non basta che una cosa sia fatta a mano perché sia buona. Dire artigianale dovrebbe significare che un prodotto è fatto alla perfezione… Abbiamo messo tutta la nostra fatica e la nostra inventiva nella scelta delle materie prime… Oggi abbiamo 17 ettari di nostra proprietà per la produzione di frutta che coltiviamo con criteri biologici. Il nostro gelato è forse più caro di altri, ma so con assoluta certezza che nel mondo oggi nessuno utilizza materie prime di qualità pari alle nostre. Non per niente, come abbiamo detto fin dall’inizio, il nostro è il gelato più buono del mondo”.
Il sedicente “gelato più buono al mondo” è fatto in un centro di produzione industriale unico a Mappano di Caselle, Torino, per poi essere trasportato congelato (proprio in Italia dove la catena del freddo è un’utopia), dopo la pastorizzazione, ai vari punti vendita, dove viene finalmente mantecato (quindi scongelato e poi ricongelato?), e messo nei pozzetti del banco frigo che, a differenza delle vaschette, pur non consentendo di gustare il prodotto con gli occhi, lo mantengono meglio e più a lungo: specie quelli con sistema di raffreddamento liquido.
Qualcuno, per far storcere il naso, ha paragonato il prodotto dell’azienda a un “precotto”.
Come ingredienti di base Grom dichiara di usare solamente un addensante, la farina di semi di carrube; due tipi di zucchero, destrosio e saccarosio di canna; latte fresco pastorizzato di Alta Qualità. Chiaramente sono riportati anche tutti gli “altri” ingredienti specifici di alcuni gusti, come ad esempio lo sciroppo di glucosio nel Marron Glacé (riportati al plurale francese con vezzo d’incuria linguistica) o l’olio vegetale (quale?) del Torrone di Nocciole.
Abbiamo assaggiato il gelato di Grom in vari mesi e varie città d’Italia (non ultimo anche a New York), ma in questo articolo ci riferiamo a quelli presenti nella lavagna di luglio, dato che ogni mese cambiano.
L’impressione generale è che si tratti di una impresa di successo, in un settore che andava rimodernato: il personale in divisa è attento e pulito, talora lento ma professionale, i locali sono spesso affollati. I gelati non sono di certo i migliori al mondo, ma nemmeno sono affetti da quelle ingenuità patenti di altre catene: i colori sono sobri, le consistenze medie, i gusti non sdolcinati (non tutti, ma almeno non bisogna prosciugare una fontana subito dopo) anche se scompaiono presto dalla bocca. Tecnicamente insomma buoni, malgrado pecchino più di persistenza che di intensità. E senza dubbio peccano di densità e complessità. Alcuni gusti intrigano, sono ben fatti come un disegno col righello, ma nessuno appaga. Meglio forse i gusti alla frutta che gli altri: il limone, un poco sciocco (toscanismo) fa rimpiangere il Siracusa Igp che c’è dentro; l’albicocca è buona ma un poco dolciona, meglio con meno zucchero; il lampone è fedele ma poco concessivo, non si dà al palato; la nocciola è molto tostata, più d’effetto che di sostanza, con finale asciutto; la crema è equilibrata per quantità di uovo ma non mai lasciva o gustosa, abbandona presto il palato; il cioccolato e il “bacio”, pur senza difetti, sono pure senza pregi; il caffè, al naso serioso, alla bocca sembra uno di quei caffè scecherati da spiaggia.
Infine abbiamo provato anche la famigerata stracciatella, il gusto più amato dai clienti di tutte le gelaterie e più odiato dai gastromani: poco omogenea, meglio le scaglie di cioccolato che il resto.
Il costo del gelato ai aggira sui 20 euro al chilo (a Milano 24): due gusti costano 2,50 euro- tre gusti 3,5 euro. I migliori gelati d’Italia hanno all’incirca lo stesso costo. Ma di questi parleremo in seguito…