L’economia olandese è in crisi. Pochi però ad Eurolandia se ne sono accorti perché le società di certificazione non le hanno ancora tolto la tripla A, un gioiello che insieme al livello relativamente basso di debito pubblico contribuisce a creare l’illusione che l’Olanda appartenga, insieme alla Germania ed all’Austria, alle nazioni forti. Ma gli indicatori economici ci raccontano tutta un’altra storia.

Al momento gli olandesi fanno i conti con la terza recessione dal 2009 – una spirale negativa iniziata con il crollo della Lehman Brothers e mai interrotta. La banca centrale ha pubblicamente affermato che l’economia stagna, proprio come un acquitrino malato dove non corre più acqua fresca. Da qui le difficoltà del governo nel far accettare alla popolazione le politiche d’austerità e di rigore fiscale imposte da Bruxelles. Nella speranza di far riprendere il comatoso PIL, economisti, sindacati ed alcuni politici spingono invece per l’introduzione di politiche fiscali di sgravio.

Anche se siamo lontani dagli indicatori tragici della periferia di Eurolandia, quelli olandesi ci descrivono un’economia più simile a quella mediterranea che a quella teutonica. Nella prima metà del 2013, il numero delle società olandesi in bancarotta ha toccato l’apice; la disoccupazione è passata al 6,8 per cento mentre nel 2008 era al 3 per cento; durante lo stesso periodo il valore delle case è sceso del 15 per cento e dal 2012 il PIL è negativo.

Come a casa nostra la domanda risente fortemente della recessione, i dati più recenti (maggio 2013) riguardo alla spesa della famiglie mostrano un calo dell’1,8 per cento su base annuale, anche questo è un trend negativo che non accenna a cambiare da almeno due anni. Gli olandesi spendono sempre meno non solo perché hanno poco reddito disponibile a causa della disoccupazione, ma anche perché devono pagare i mutui per immobili il cui valore, ahimè, è sceso.

Alcuni economisti descrivono questo fenomeno trappola contabile: dato che il valore del debito rispetto a quello degli immobili è salito, per far fronte a questo squilibrio la gente smette di spendere e risparmia.

Comportamento analogo tengono le banche che invece di facilitare il credito, ne rendono sempre più difficile l’accesso. Suona familiare? E’ quello che sta succedendo anche in Italia e nel resto della periferia.

Naturalmente di fronte a questa situazione il dibattito politico verte su temi comuni a tutta la periferia: come contrastare le direttive di Bruxelles e perseguire una politica espansiva che conceda un po’ di respiro alle famiglie ed alle imprese per far ripartire l’economia. E come nei paesi della periferia nessuno ha in mano una strategia solida, una teoria sperimentata, tantomeno c’è chi dimostra di possedere abbastanza potere e consenso per perseguire strade alternative. Proprio come a casa nostra forze politiche, sindacali ed intellettuali non riescono a creare un fronte unito, eppure se ciò avvenisse costoro otterrebbero il consenso della maggioranza della popolazione che in Olanda, come nel resto della periferia, attribuisce gran parte dei mali dell’economia alle richieste di rigore Bruxelles.

Per ora, dunque, il primo ministro olandese Mark Rutte, che è tra i più agguerriti sostenitori della disciplina fiscale, è intenzionato a soddisfare tutte le richieste di Bruxelles per il 2014. Il governo di coalizione ha infatti raggiunto un accordo di massima per introdurre tagli alla spesa ed aumento delle tasse pari a 6 miliardi di euro, un programma che dovrebbe essere completato alla fine dell’estate prima della ripresa autunnale.

 

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