Almeno 40 agenti interrogati per il furto di identità di giovani britannici nati fra il 1940 e il 1975 e poi deceduti. Avevano tutti fra i quattro e gli otto anni. Le famiglie erano all'oscuro della pratica per la quale la Metropolitan Police di Londra ha già chiesto scusa
Rubare l’identità a un bimbo morto in modo da poter svolgere la propria funzione di poliziotto in incognito. Così è successo, per anni, nel Regno Unito. E ora un’inchiesta officiale della polizia del Derbyshire ha ricostruito almeno 42 casi avvenuti negli ultimi decenni. “Le famiglie ora meritano le scuse ufficiali”, dice chi sta investigando, “ma non possiamo rivelare nomi e identità degli agenti coinvolti nella vicenda, altrimenti metteremmo a rischio la loro sicurezza e la loro vita”. Finora, almeno 40 poliziotti sono stati interrogati per il furto di identità di giovani britannici nati fra il 1940 e il 1975 e poi deceduti. Bambini fra i quattro e gli otto anni, le cui famiglie erano all’oscuro della pratica messa in atto.
Si indaga ora su due corpi di polizia, la National public order intelligence unit (Npoiu) e la Special Demonstration Squad (Sds) di Scotland Yard, la polizia dell’area metropolitana di Londra. Ma un report degli investigatori ora cita: “Sarebbe un errore pensare che solo Sds e Npoiu abbiano agito in questo modo. La possibilità è che questa tattica fosse usata in modo molto più ampio”. Intanto, la Metropolitan Police di Londra ha già chiesto scusa ufficialmente. Fra il 1968 e il 2008, le identità false sarebbero state utilizzate almeno 106 volte. Ben 42 di queste identità sono state “rubate” a bambini deceduti, mentre in 45 casi si trattava di nomi completamente inventati. “Ma ora non possiamo compromettere il lavoro dell’intelligence effettuato negli anni passati”, dice ancora il report degli investigatori. Finora l’inchiesta ha visto 14 richieste da un totale di 17 famiglie che si sono ritenute coinvolte nella vicenda.
La Sds bandì la pratica nel 1994, ma la Npoiu avrebbe continuato almeno fino al 2003. I procuratori però sostengono che gli uomini della polizia che usarono queste identità non possono essere incriminati, le colpe non erano dei singoli ma delle forze nel loro complesso. “Ma oggi non rubiamo più le identità”, sostengono e rassicurano le polizie del Regno Unito. Tuttavia, fra le famiglie coinvolte, c’è anche chi ora attacca. Come una signora che accusa la polizia di aver usato il nome del suo piccolo Rod e che ora sostiene: “Le mie lamentele sono state messe sotto al tappeto”. L’avvocato della signora ha affermato: “Queste che stiamo ricevendo non sono scuse, ma sono delle abili operazioni di relazioni pubbliche. Le famiglie di questi bambini deceduti meritano una risposta, una scusa personale e soprattutto meritano sicurezza, nel caso queste identità siano state usate per infiltrarsi in organizzazioni criminali”. La polizia intanto si rifiuta di confermare se il nome del piccolo Rod sia stato veramente usato, nonostante l’inchiesta si sia conclusa. E dalla vicenda potrebbero ora nascere ulteriori scandali sul comportamento delle forze dell’ordine negli anni passati, dopo diversi casi che nell’ultimo anno hanno interessato le polizie del regno. Una cosa comunque è certa: la madre di Rod è intenzionata ad andare avanti nella sua battaglia, in memoria di suo figlio e degli altri 41 bimbi “scippati” delle loro identità.