Altro che scomparso: il maschilismo è vivo e vegeto e, purtroppo, alberga ancora tra di noi. Potente e scarsamente disturbato: è la tesi dell’ultimo libro di Chiara Volpato, “Psicosociologia del maschilismo“ (edizioni Laterza). Dalle immagini dei cardinali riuniti in conclave e del vertice della Banca centrale europea a quelle dei consigli di amministrazione e delle gerarchie militari: basta alzare lo sguardo per accorgersi della perdurante supremazia maschile. “Un’indiscutibile asimmetria di potere, status e risorse” che per lo più, nel discorso pubblico, si presenta come scontata, neutra. Ma che fa sì, sostiene la professoressa di psicologia sociale all’Università Milano Bicocca, che una bambina che nasce in Italia non abbia le stesse “probabilità di esprimere le potenzialità di pensiero e azione”. Mentre tutti i maschi, anche quelli che non si riconoscono nel modello dell’egemonia maschile, “riscuotono la loro parte del dividendo patriarcale”, traggono cioè vantaggio da questa posizione di supremazia.
Mettendo radicalmente in discussione la tesi secondo cui le differenze biologiche si traducano “automaticamente in profonde e persistenti differenze psicologiche e sociali” (cioè l’idea che uomini e donne ragionino e sentano in maniera diversa, prima che le costruzioni culturali e sociali intervengano a modificare ragioni e sentimenti), l’autrice sostiene che quasi tutti i comportamenti maschili e femminili – dal tipo di studi intrapresi alle scelte su lavoro o carriera – siano di fatto governati/generati dagli stereotipi.
Ma la tesi del libro è ancora più forte: esiste un “sessismo benevolo” ancora più pericoloso del maschilismo tradizionale e manifesto. È un’ideologia opaca e ambivalente che, mentre da un lato si esprime nella credenza che l’eguaglianza di genere sia stata raggiunta, dall’altra continua a operare discriminazioni meno riconoscibili, sia dagli uomini che dalle donne stesse. Ad esempio quando un esaminatore crede di giudicare imparzialmente uomini e donne e invece adotti criteri diversi senza saperlo. O quando si tende ad attribuire un fallimento femminile a un’assenza di meriti e quello maschile a una causalità diversa.
Il sessismo benevolo è, anche, quella visione deformata che fa l’uomo sia “indipendente, energico, forte, aggressivo, attivo, dominante, audace”, mentre la donna è definita piuttosto “affettuosa, sognatrice, attraente, dipendente, emotiva, tenera, gentile, dolce, affascinante”. È una sorta di paternalismo che definisce le donne “creature preziose, da proteggere”, e promette loro vantaggi, a patto che “accettino il controllo sociale maschile” e accettino ruoli tutto sommato convenzionali. Positive, ma subalterne: una visione che spesso le donne finiscono per assimilare, anche per avere benefici secondari, ma che finisce per renderle più deboli e insicure.
Il libro parla, molto, anche del maschilismo in politica. Criticando con forza il comportamento di Silvio Berlusconi, un esempio perfetto di mix tra sessismo tradizionale esplicito e sessismo benigno, Chiara Volpato sostiene però, con molte ragioni, che il maschilismo “benigno” è trasversale a destra e sinistra. Un ultimo j’accuse deciso è poi rivolto ai mass media: che non solo non parlano a sufficienza della mai raggiunta parità di genere e utilizzano l’aggettivo “femminista” con accezione negativa. Ma soprattutto continuano a oggettivare la donna, sia attraverso le pubblicità, sia attraverso l’assegnazione di ruoli secondari in trasmissioni o talk show. Una forma di de-umanizzazione, secondo l’autrice, che favorisce forme di violenza, direttamente legate – come dimostrato da numerosi studi – alla riduzione della donna ad accessorio oppure oggetto di consumo.