A sinistra il dibattito politico può dirsi equamente ripartito tra sprovveduti ed assennati. Nocciolo della questione: l’apparente schizofrenia del Pd, oggetto clinicamente (ma oggi anche ‘emiciclicamente’) bipolare.
Gli uni si ostinano a pensare che si tratti di un partito di sinistra, per gli altri (tra cui il sottoscritto) non è nemmeno un partito: è piuttosto una consorteria degli orrori cui va imputato, per manifeste incapacità e connivenza, il collasso del Paese sotto l’egida incontrastata del Berlosco.
È sempre la stessa scena: amici, persone che ti parevano normali, addirittura stimabili, tutti a difendere l’indifendibile ricorrendo ai soliti ritriti argomenti: “bisogna tapparsi il naso”, “non ci sono alternative credibili”, “bisogna conquistare il centro”, “dobbiamo riprenderci l’elettorato della Lega”, “sono gli unici ad avere un progetto alternativo a B.” (bella questa, eh?), “non saranno il massimo, ma almeno sono gente seria” (il fatto è che da vent’anni sono sempre e soltanto il Massimo).
Allora gli assennati s’inviperiscono ‒ mettendo in fila, tra improperi e stoccate, l’abc della realtà: il fatto che a forza di nasi otturati abbiamo perso l’olfatto tout court (tanto che c’è chi nemmeno s’accorge di rotolare mani e piedi nello sterco). Con l’arrembaggio al centro, poi, la ‘sinistra’ ha fatto semplicemente harakiri, ottenendo l’unico encomiabile risultato di perdere sempre, anche quando suo malgrado ha vinto.
La storia della Lega, infine, s’è vista come è andata a finire: con lo yacht di Bossi jr. attraccato in Tunisia ‒ forse sulla scia di Craxi, in rotta verso Hammamet. È forse d’obbligo una citazione dal Líder Máximo (come sempre il più astuto tra gli astuti): “La Lega c’entra moltissimo con la sinistra, non è una bestemmia. Tra la Lega e la sinistra c’è forte contiguità sociale. Il maggior partito operaio del Nord è la Lega, piaccia o non piaccia. È una nostra costola”. Stiamo tutti difatti ancora aspettando l’uscita di D’Alema dal cerchio magico ‒ con conseguente, seppur oramai insperato, rinsavimento.
Di programmi, comunque, nemmeno l’ombra: dalle semiserie 281 pagine del Prodi 2006 ‒ dove pur di non dir nulla si dice di tutto (ovviamente Mastella permettendo) ‒ ai 12 punti di Veltroni che parevano scritti direttamente su dettatura dell’innominabile “principale esponente dello schieramento avverso”.
A testimonianza della proverbiale serietà del Pd, tra i molti meritevoli, mi limiterei al prode Massimo Calearo: “Dall’inizio dell’anno alla Camera sono andato solo tre volte […] Rimango a casa a fare l’imprenditore, invece che andare a premere un pulsante. Non serve a niente […] Con lo stipendio da parlamentare pago il mutuo della casa che ho comprato, dodicimila euro al mese di mutuo. È una casa molto grande”.
Senza dubbio, però, Pd e Pdl, i gemelli diversi, hanno posizioni inconciliabili almeno sulla giustizia. Certo, ecco qua.
Cicchitto: “Occorrerà, poi, anche realizzare una netta separazione delle carriere tra magistratura giudicante e quella inquirente e la revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Naturalmente, noi auspichiamo che, su un terreno di tale importanza, si possa fare una riforma insieme a quella parte dell’opposizione estranea al giustizialismo”.
Si fa avanti l’intrepido Violante: “Al centrosinistra direi: fare la riforma della giustizia insieme al centrodestra non è un favore fatto a Berlusconi, è un dovere nei confronti del Paese, per permettergli di essere più equo, più responsabile e più moderno”. Altrove il conciliatore dei “ragazzi di Salò” rincara addirittura l’apologo: “Io penso che vada affrontato senza remore il problema della dimensione di potere della magistratura, in modo da garantirne tanto l’indipendenza quanto la responsabilità, per poi passare all’efficienza”. Apprezziamo il tatto: nemmeno Alfano, dopo l’ultimo picnic al Palazzo di Giustizia di Milano, avrebbe saputo farneticare con altrettanta sofisticheria.
Direi che non c’è bisogno di infierire oltre. Soprattutto perché col governo Letta-Letta, o lecca-lecca, non si capisce nemmeno più chi stia lisciando chi.
Il punto della questione è un altro ‒ ed è una domanda che rivolgo a tutti, soprattutto agli sprovveduti che ancora parteggiano per Pd, magari in buonafede: perché negare l’evidenza? Perché ostinarsi a discutere dei Democratici come se fossero un partito di sinistra?
E soprattutto: come fate a non indignarvi? Dal canto mio, la penso esattamente come Ugo Sposetti, ex tesoriere dei DS, il quale giusto ieri ha ammesso che se condannano Berlusconi il Pd “non reggerà l’urto e salterà in aria come un birillo”. Diversamente da Sposetti, però, direi che non tutti i mali vengono per nuocere.