Corriamo tutti i giorni, tutta la settimana, tutto l’anno. Abbiamo la testa che scoppia di pensieri, impegni, scadenze. Le tabelle di marcia ci perseguitano perché se rientri a casa tardi, i bambini fanno il bagno tardi, vanno a letto tardi e il giorno dopo si ricomincia in salita, arrancando. Poi, d’un tratto arriva l’agognata vacanza ed è come pestare sul freno viaggiando a 100 all’ora. Perché ci serve del tempo anche per abituarci a un ritmo diverso, per variare la velocità. Altrimenti è come una frenata brusca alla quale non siamo preparati e che rischia di farci prendere una gran zuccata.

Siamo stanchi: non vedevamo l’ora di fermarci un attimo, eppure ci rimane addosso una specie di frenesia, forse quasi un senso di colpa per tutto quello che dovevamo ancora fare, finire, riordinare, mentre stiamo qua a “perder tempo”: ci mettiamo un po’ per ritrovare un altro passo. E per i bambini forse è ancora più difficile. Sbatacchiati tutto l’anno da una attività all’altra, da un impegno a un altro senza spazi vuoti, si ritrovano d’un tratto nella desolazione della campagna, nel ritmo rallentato delle giornate di luglio.

Qualche volta anche loro perdono la rotta: si svegliano alle 6. 30 quando noi vorremmo dormire, vagano come zombie cercando di riempire l’improvviso vuoto a cui non li abbiamo preparati, che li disorienta. Provano a ritrovare la routine invernale attaccandosi al vecchio televisore che prende 3 canali su 150, vanno in visibilio solo quando c’e in giro l’iPad dello zio oppure ciondolano da una sedia al divano. Ed ecco la più temuta tra le esclamazioni: “Mi annoio”. Due parole che ci mettono in discussione come genitori, che ci interpellano sulla nostra capacità di seminare in loro risorse sufficienti per apprezzare quello che c’è. Due parole che buttano al macero i nostri anni di studi sul valore dell’otium, fecondo di pensieri, di sensazioni, di creatività. Che ci interrogano sul ricordo di quel tempo lungo e vago dell’infanzia, che poi tornerà, da grandi, con l’odore dell’erba tagliata, delle vecchie lenzuola che sanno di umido e lavanda, col frinire delle cicale. Forse possiamo provare a non lasciarci spaventare da queste due parole, per accoglierle come benvenute. Provare a non ricominciare ad arrovellarci su come riempire tutto. Ma sì, stavolta lasciamoli un po ‘ annoiare in pace. Annoiamoci con loro. Forse lo ricorderemo.

Lo ricorderanno.

il Fatto Quotidiano del Lunedì, 22 Luglio 2013

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