Ci siamo. La piastra si sta scaldando sul fuoco e possiamo già pensare al contorno. Tra una settimana a Londra sarà infatti cotto e mangiato il primo hamburger di “manzo artificiale”, realizzato coltivando in laboratorio cellule staminali prelevate dal muscolo di un bovino. Siamo davanti all’inizio di una rivoluzione che può modificare per sempre l’industria agroalimentare e il nostro modo di mangiare? Sì, secondo Mark Post, lo scienziato dell’università olandese di Maastricht a capo delle lunghissime ricerche (costate 290mila euro e finanziate dal governo di Amsterdam e da un misterioso e anonimo milionario): tra circa 10 anni si potrebbe infatti arrivare alla produzione in massa di bistecche e hamburger di questo tipo provenienti da diversi animali risolvendo così il problema della crescente richiesta mondiale di carne destinata a raddoppiare entro il 2050.
Molto meno convinte sono le associazioni di categoria italiane, per una volta concordi nel bocciare l’iniziativa olandese: «I “cibi da laboratorio” sono inutili e pericolosi, non servono assolutamente – ha sottolineato Giuseppe Politi, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) – il patrimonio di biodiversità animale e vegetale nel mondo è così vasto e completo che va solo opportunamente preservato e selezionato». Numeri alla mano Politi ha evidenziato come esperimenti di questo tipo non interessino neppure ai cittadini: «I consumatori, quando sono stati consultati sull’argomento in Italia e in Europa, hanno bocciato in maniera inequivocabile gli Ogm e la clonazione a fini alimentari con percentuali vicine all’80 per cento. Nel nostro Paese, poi, questo tema diventa quasi inutile se si considerano i dati sul “Made in Italy” agroalimentare, fatto di prodotti tipici e di qualità. Da una parte c’è un settore che vale 245 miliardi di euro, dall’altra nessuna bistecca clonata o verdura transgenica sullo scaffale né persone disposte a comprarle”.
Condanna senza appello anche da parte della Coldiretti, che fa riferimento ai dati dell’Eurobarometro: «Tre italiani su quattro (il 73%) non mangerebbero l’hamburger in provetta nemmeno se cucinato da uno chef di fama. Alle forti perplessità di natura etica si aggiungono quelle di carattere economico». Sarebbe ben altra la via da seguire: «La realtà è che, nonostante il rincorrersi di notizie miracolistiche sugli effetti benefici delle nuove modificazioni genetiche, rimane elevato il livello di scetticismo dei cittadini. Per questo, come hanno dimostrato le esperienze del passato a partire dalla “mucca pazza”, le innovazioni in un settore come quello alimentare, particolarmente esposto ai rischi per la salute, devono percorrere la strada della naturalità e della sicurezza».