Tra i tecnici si fa largo l'idea che le barriere di cemento tipo New Jersey non hanno respinto il bus come avrebbe dovuto, ma ha ceduto. Non a caso gli inquirenti hanno inserito tra i filoni di indagine proprio la verifica dello stato delle protezioni nel tratto della strage
Spazzate via e spezzate, sembrano di cartapesta le barriere del viadotto tra Monteforte Irpino e Baiano al chilometro 32 dell’Autostrada A 16 Napoli-Bari da cui domenica sera è precipitato il bus. Ragionando sulle foto, le prime testimonianze e ricostruzioni del terribile incidente, tra i tecnici della sicurezza stradale si sta facendo largo un’idea: invece di svolgere al meglio e per quanto possibile la funzione di contenimento del violento impatto di un mezzo pesante e probabilmente fuori controllo per un guasto, il guard rail di cemento tipo New Jersey non ha tenuto e non ha risospinto il bus verso l’interno della carreggiata come avrebbe dovuto, ma ha ceduto. Ed è successo l’inferno.
Il sospetto è che quelle barriere sul viadotto, dove 4 anni fa sono state sostituite due travi di sostegno, non fossero sistemate a regola d’arte, essendo forse solo appoggiate al suolo oppure ancorate, ma in modo inappropriato, per effetto di un montaggio errato o sbrigativo, peggiorato forse dal tempo e dall’usura. E potrebbe anche trattarsi di un modello vecchio e non adeguato di guard rail in cemento, risalente a fine anni Ottanta quando non era necessaria l’omologazione, obbligatoria dal 1992, e di cui purtroppo sono ancora piene le autostrade italiane. Compresa l’Autosole, in particolare nei 180 chilometri circa tra Roma e Napoli, ma anche al Nord, su alcuni tratti tra Bologna e Milano.
Insomma, sta prendendo piede l’idea che le barriere non abbiano fatto molto per impedire che quel bus impazzito saltasse giù nel precipizio diventando una gigantesca bara. Il mezzo era vecchio, 18 anni, ma tutto sommato non decrepito, anche se reso probabilmente ingovernabile da un danno al sistema di trasmissione. Dichiara al Fatto un esperto di collaudi di dispositivi di sicurezza stradale, un tecnico che vuole conservare l’anonimato: “Mi sembrano evidenti in quel tratto i vizi di allestimento e manutenzione delle barriere”. Quel pezzo di autostrada corre in montagna e d’inverno spesso si ricopre di neve e quindi viene cosparso di sale per liberare le carreggiate. Ed il sale, come è noto, è un corrosivo e in presenza di un montaggio inappropriato delle barriere oppure mancando le necessarie guarnizioni di isolamento, può avere avuto un effetto negativo e disgregante sia sui tirafondi, i ferri che collegano la barriera al cordolo autostradale, sia sulla compattezza del cemento stesso nel caso non fosse stato di ottima qualità.
Se dalle indagini venisse fuori che la strage è stata causata non solo dal guasto al mezzo o dalla eventuale inidoneità del conducente, ma se si accertasse che le barriere non hanno svolto l’opportuna funzione di sicurezza passiva, come dicono i tecnici, risulterebbe che esse sono state di fatto una concausa della strage. E allora potrebbero emergere anche responsabilità della società che ha in concessione l’Autostrada, cioè Autostrade per l’Italia della famiglia Benetton.
Non a caso gli inquirenti hanno inserito tra i vari filoni di indagine proprio la verifica dello stato e delle condizioni delle barriere nel tratto della strage: “Valuteremo la posizione di Autostrade”, ha detto il procuratore di Avellino (subito, il ministro Maurizio Lupi ha difeso la società, ndr).
Le barriere di quel tipo sono progettate ed omologate per resistere ad urti molto forti, anche di mezzi pesanti, autotreni ed autoarticolati compresi. A patto, però che siano piazzate ed ancorate a regola d’arte. In particolare dovrebbero reggere al colpo di un autoarticolato a pieno carico che cozza sulla barriera con un angolo di impatto di 20 gradi ad una velocità di 65 chilometri l’ora. Come è ben illustrato nel sito di Abesca, l’associazione che raggruppa le 8 società di cementieri produttori di New Jersey (Betonform, Cancellotti, Conelfa, Crezza, Ferrocem, Edilfor, Forte, Somace), quel tipo di guard rail è sagomato in modo tale da assorbire l’impatto distribuendo gradualmente l’urto sulla superficie della barriera che di per se stessa, con il suo peso di circa 500 chilogrammi ed essendo collegata ad altri pezzi come in una catena, svolge un’ulteriore funzione di contenimento.
Colpendo la barriera, il mezzo è sottoposto, in pratica, ad una specie di effetto rimbalzo e viene indirizzato verso il centro della carreggiata. Dalle prime ricostruzioni dell’incidente sul viadotto dell’A 16 sembra sia purtroppo successo il contrario. Eppure è possibile ipotizzare che la velocità del bus non fosse eccessiva e che il mezzo non abbia sbattuto sulle barriere con un angolo superiore a 20 gradi. Anzi, sembrerebbe che il conducente abbia cercato di far strusciare sulle barriere la fiancata destra del bus in corsa, forse in un tentativo disperato di frenata.
da Il Fatto Quotidiano del 30 luglio 2013