Il Presidente francese Hollande, commentando le elezioni in Mali di domenica, ha salutato ”il ritorno del paese all’ordine costituzionale, dopo la vittoria sui terroristi e la liberazione del territorio”. Ad un anno e mezzo dallo scoppio della crisi nell’ex colonia francese dell’Africa Occidentale, le elezioni politiche sono state fatte passare come un traguardo positivo sulla strada della normalizzazione, nonostante la sequenza di eventi degli ultimi 18 mesi, renda di ben difficile la lettura di quelli in corso; in questo breve lasso di tempo, infatti, si sono avvicendati un colpo di stato, la secessione del nord del paese controllato dai ribelli con la proclamazione dello stato di Azwad (durato a malapena 10 mesi) una guerra civile tra il governo di Timbuctu ed una coalizione islamisti-Tuareg, un intervento militare internazionale a guida francese per ristabilire il controllo del territorio da parte del governo riconosciuto e l’invio da parte dell’Onu di una missione di peacekeeping. E come se non fosse stato già abbastanza, con un tempismo straordinario, quasi “ad orologeria” per la rapidità, cosi come osservato dalla giurista internazionale del Guardian Alison Cole, è arrivato l’avvio delle indagini da parte della Corte dell’Aia, seguito all’accoglimento della richiesta di intervento da parte del governo del Mali; la Corte Penale Internazionale era stata investita dalla richiesta di apertura di indagini a metà del 2012 proprio dal governo di Timbuctu che denunciava il deterioramento della situazione nel Nord del paese.
Nessuna grana questa volta per la Cpi, dato che il Mali stesso, paese che aveva ratificato il Trattato di Roma, chiedeva alla Corte di intervenire. Ma una questione, non liquidabile come pignoleria da commentatore, resta: non è surreale che una lettera a firma del ministro della giustizia di uno stato sovrano, fatto salvo il pieno diritto riconosciuto dal Trattato di Roma, invochi l’intervento della Corte Penale Internazioanle per risolvere una questione interna?
Già, perchè il governo ha ammesso nella lettera inviata all’Aia lo scorso anno, di aver perso il controllo non di una regione ma bensi di oltre il 50% del suo territorio. Durante la prima lezione di Diritto Internazionale all’università, si impara che le condizioni per individuare l’esistenza di un’entità statale sono tre: una popolazione, un territorio ed un governo che controlli quel territorio. La crisi in Mali è scaturita da una congiura interna alle forze armate, culminata nel colpo di stato del Marzo 2012 in seguito al quale il governo legittimo ha perso del tutto l’esercizio della sovranità sul Nord del paese; i ribelli Tuareg, inizialmentte alleati delle cellule di Al-Qaeda attive in Africa Occidentale ed in Mali hanno infatti solo approfittato della crisi istituzionale scaturita in seno al governo legittimo. E il golpe che ha deposto il presidente Amadou Toumani Toure era scaturito dalla rabbia di parte dell’esercito contro il presidente, reo – a detta loro- di non aver fatto abbastanza per constrastare ll’insurrezione dei Tuareg.
Una vicenda confusa, insomma, dove le responsabilità penali e politiche sfumano fino a far perdere i rispettivi contorni. Ancora, il Movimento di Liberazione dell’Azawad (MNLA) ha cambiato fronte, passando in breve tempo da nemico ad alleato del governo di Timbuctu e poi da alleato a nemico degli islamisti. Un anno dopo e ad appena 6 mesi dall’intervento militare guidato da Parigi e dalla firma del trattato di pace tra il governo ad interim del Mali ed il MNLA, dove il primo ha accettato di conferire larga autonomia alla popolazione Berbera e questi hanno rinunciato ai loro propositi secessionisti, arrivano i caschi blu dell’ONU le elezioni e quindi l’aperrtura delle indagini preliminari da pare dei giudici dell’Aia.
Una sequenza di accadimenti rapidissima, quella riassunta, avvenuti all’ombra dei ben 3 miliardi di sterline in aiuti che la Comunità Internazionale ha promesso al governo di Timbuctù in pectore, chiedendo in cambio elezioni ed un rapido ritorno alla “normalità”, a quella via africana alla democrazia inventata dal Mali che solo pochi anni fa, rappresentava un modello sbandierato dall’occidente. Quanto all’Aia, bisognerà attendere la conclusione delle fasi preliminari e le richieste di rinvio a giudizio ma fin da ora ci si può legittimamente domandare: chi garantirà l’indipendenza delle indagini dato che la Corte Penale Internazionale, dovrà utilizzare forze locali in funzione di polizia giudiziaria?
Chi assicurerà che un’indagine per crimini contro l’umanità non si trasformi in un processo politico alla comunità Tuareg, risolvendo cosi al governo di Timbuctu una brutta grana (e magari sollevandoli da imbarazzanti responsabilità politiche..)? Ora la Corte Penale dell’Aia ha davanti l’ennesimo, complesso, nodo da sciogliere: trattare i membri del MNLA come terroristi, assecondando la dottrina della “pacificazione forzata” che tanto piace ad USA e Francia oppure riconoscerli, alla stregua dei “cugini” Sahrawi del Movimento POLISARIO, come un Fronte di liberazione Nazionale?