Dall’inizio dell’anno sono 80 i femicidi (dato della Casa delle donne di Bologna).
Cristina Biagi 38 anni uccisa a Marina di Massa, Erika Ciurlia 43 anni uccisa a Taurisano, poi le donne uccise prima e quelle che lo saranno. E’ triste dirlo, ma ci saranno. Erika e Cristina avevano chiesto aiuto e denunciato le violenze, così avevano fatto Rosi Bonanno ed Erica Patti, la madre di Andrea e Davide Iacovone. I bambini assassinati dal padre per vendetta, dopo la separazione dalla moglie.
Ho ricordato donne che non avevano taciuto le violenze anzi le avevano denunciate. Cosa non ha funzionato nel Paese dove è stata ratificata la Convenzione di Istanbul? Condannare la violenza contro le donne salvando il principio ma tradendolo nella prassi quotidiana, non fermerà il femminicidio, non bloccherà i violenti, non proteggerà le donne dai maltrattamenti e i figli dalle conseguenze della violenza. I centri antiviolenza sono pochi e poco finanziati e questo è uno dei problemi. Poi ne esistono altri che D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, chiede di risolvere da anni. Quali?
Chi opera nelle istituzioni (servizi socio-sanitari, forze dell’ordine, tribunali) deve saper riconoscere la violenza, lo stalking ed i fattori di rischio. I test di valutazione del rischio e della recidiva di violenze come il metodo SARA e ISA possono essere una valida guida per comprendere la gravità delle situazioni. Ci sono protocolli per gli interventi del personale del pronto soccorso e delle forze dell’ordine con esperienze già realizzate in diverse città, perché non sono ancora adottati su tutto il territorio nazionale?
Le donne sono messe in difficoltà soprattutto quando la violenza viene scambiata per conflittualità di coppia. Ultimamente i tribunali inviano coppie alla mediazione familiare anche quando la donna ha denunciato di aver subito violenza. Un tipo di percorso che deve essere assolutamente escluso in situazioni di maltrattamento: espone la donna a pericolo e non è funzionale a far diminuire le violenze. Affinché queste cessino, la strada maestra sono i percorsi individuali in centri specializzati come i Centri ascolto maltrattanti (Cam). L’ antidoto alla violenza non è la conciliazione ma l’assunzione di responsabilità di chi la commette.
Un altro aspetto del problema è la scarsa applicazione delle leggi a protezione delle donne. L’ordine di allontanamento è applicato in maniera molto disomogenea nei tribunali italiani. Come mai? E i tempi processuali per ottenere misure che blocchino l’autore di maltrattamenti sono troppo lenti. Se una donna dopo la denuncia non viene ospitata in una struttura protetta deve escogitare soluzioni da sola. Spesso le donne per sottrarsi alle minacce e allo stalking e reggere l’angoscia della costante minaccia dell’ex, vanno a vivere a casa di familiari o amici (come Erika, come Rosa) ma questo non è certo sufficiente a tutelarle. Troppe donne dopo lo svelamento della violenza sono lasciate ostaggio della paura e troppo uomini sono lasciati ostaggio della loro stessa violenza. Il risultato è il rischio di reiterate e gravi violenze fino al femicidio.
Anche il principio della bigenitorialità a qualunque costo è una parte del problema. La bigenitorialità che è è giusto applicare in situazioni di normalità deve essere assolutamente esclusa nei casi di violenza, (come indica la Convenzione di Istanbul) perché il diritto alla genitorialità non deve mettere a rischio i minori. Infine, i soggetti istituzionali e non istituzionali che possono incontrare situazioni di violenza devono dialogare tra loro, fare rete e creare sinergie e rispettare i protocolli a tutela delle donne che denunciano violenze.
Non possiamo più domandarci “perché non lo lascia?” quando sappiamo dell’ennesimo femicidio ma piuttosto “perché le istituzioni continuano a lasciare le donne in ostaggio della violenza del marito”? E cominciare a chiederne conto.
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