Perché razzisti ignoranti continuano a prosperare nell’Italia multiculturale
L’Italia sta cambiando ma la “battuta” razzista sul ministro Cécile Kyenge dimostra perché il progresso è un processo lento e difficile.
“Amo gli animali, ma quando la vedo, non posso non pensare a un orango”. Sono queste le parole pronunciate dal politico italiano Roberto Calderoli su Cécile Kyenge, il ministro nero dell’Integrazione, in occasione di un recente festival organizzato dal suo partito, la Lega Nord. E su Kyenge, chiamata a ricoprire la carica di ministro ad aprile, Calderoli ha aggiunto che “forse dovrebbe fare il ministro nel suo Paese. È anche lei a far sognare l’America a tanti clandestini che arrivano qui”.
L’uscita di Calderoli è solo l’ultima di una lunga serie di commenti razzisti e rivoltanti espressi da esponenti politici e altre personalità appartenenti a tutto lo spettro politico. Che lo si creda o no, lo stesso Calderoli ha puntualizzato che la sua era solo “una battuta“ e che “non voleva essere razzista”. Cosa sta succedendo? Perché la nomina di Kyenge ha scatenato un tale impeto di razzismo e odio?
Quando sono arrivato in Italia nel 1988, a Milano, gli immigrati si contavano sulle dita di una mano. Le cose hanno iniziato a cambiare negli anni ’90 e negli anni 2000, quando più di 4 milioni di lavoratori stranieri ha messo piede in Italia per dedicarsi prevalentemente, almeno all’inizio, a lavori non specializzati nel contesto di un’economia in forte espansione. L’invecchiamento della popolazione e la ricchezza crescente hanno fatto così registrare un’impennata nella domanda di addetti alle pulizie, collaboratori domestici e manodopera varia da impiegare in lavori umili a cui la maggior parte degli italiani non desiderava più dedicarsi.
Dal sistema politico questi immigrati erano praticamente esclusi. Le rigide leggi sulla cittadinanza, poi, avevano reso estremamente difficile per la seconda e la terza generazione, la cosiddetta generazione Balotelli, acquisire una qualsiasi forma di diritto. Persino i nati in Italia potevano acquisire lo status di italiani solo al compimento del diciottesimo anno di età. È in questo contesto che la Lega Nord è giunta al potere, guadagnando una posizione di primo piano.
Kyenge è giunta in Italia nel 1983. Oculista, nel 1994 ha sposato un italiano e in Italia sono nate e cresciute le due figlie. Italiana e nera, il ministro ha promesso di riformare le leggi italiane sulla cittadinanza, un cambiamento a cui il centrodestra italiano si oppone strenuamente.
Agli inizi, la Lega si è attestata come partito che ha fatto dell’anti-politica e della crociata contro il mezzogiorno d’Italia il suo cavallo di battaglia, affermandosi soprattutto nelle province dell’Italia settentrionale. Negli anni ’90, salita al potere, ha amministrato un numero considerevole di città settentrionali, compresa Milano, e grazie all’alleanza con Silvio Berlusconi ha finito per governare il Paese. Lo stesso Calderoli è stato ministro e quindi vicepresidente del Senato, una delle più importanti cariche istituzionali del sistema politico italiano.
La Lega è sempre stata un partito razzista, fomentando il conflitto etnico e religioso tutte le volte che si è presentata l’occasione. Sono così numerosi i commenti e le azioni di evidente stampo razzista di cui la Lega si è resa protagonista che sarebbe possibile compilare un’intera enciclopedia. È capitato per esempio che il sindaco di un’importante città italiana abbia chiesto di vestire gli immigrati come animali per poter dar loro la caccia, o che un altro esponente della Lega, di recente, abbia accolto con entusiasmo la notizia della morte di immigrati periti nel tentativo di raggiungere le nostre coste via mare.
Da più di 20 anni questo genere di commenti non conosce tregua. Il fondatore ed ex leader della Lega, Umberto Bossi, ha parlato di un luogo chiamato “terra di Bongo Bongo”. Il razzismo è la politica ufficiale del governo, imposta dall’alto, tollerata a tutti i livelli, anche dalla sinistra italiana che, per un po’, con la Lega ha stretto un’alleanza scellerata. Ma sulla definizione di razzismo c’è divergenza di vedute. Secondo Calderoli, paragonare una donna nera a un orango è “una battutina” se non una “battuta simpatica”. E quando in una vignetta Mario Balotelli è stato ritratto come King Kong, in tanti non hanno nemmeno visto il problema.
Oggigiorno si assiste ad un cambiamento. Le polemiche hanno iniziato a modificare il linguaggio utilizzato. Persino i principali quotidiani di qualità hanno adottato a lungo un linguaggio razzista per indicare con un cliché gli immigrati. Per anni il Corriere della Sera ha usato il termine vu cumprà per etichettare quei venditori ambulanti che, stranieri, non riuscivano a parlare correttamente l’italiano.
Azioni individuali, come quella del calciatore Kevin Prince Boateng che, bersagliato da cori razzisti, ha abbandonato il campo (sorpresa sorpresa, ai cori si era unito anche un militante della Lega), hanno sollevato un ulteriore vespaio di polemiche. Ma il progresso è doloroso e lento e l’esclusione degli immigrati da qualsiasi forma di partecipazione politica e dal potere in generale li rende vulnerabili agli attacchi e allo sfruttamento.
L’Italia non è un Paese razzista, ma è un Paese dove il razzismo viene tollerato e dove una persona come Calderoli ricopre cariche istituzionali. Tuttavia, il razzismo non vincerà perché il futuro è con l’Italia di persone come Balotelli e Kyenge. L’Italia è un Paese multiculturale, che piaccia o no. E quando vedo Roberto Calderoli, non posso non pensare a un razzista ignorante.
Traduzione di Grazia Ventrelli e Sara Angelucci per italiadallestero.info
Articolo originale di John Foot su The Guardian del 15 luglio 2013