Non ci sono penali in caso di ritiro dal programma di acquisto F-35, ma fondi già erogati che andrebbero persi. E’ il commento del ministro della Difesa Mario Mauro nel corso di un’audizione alle commissioni congiunte Difesa, Esteri e Politiche europee del Senato: “Si dice che se ci ritiriamo dal programma per i caccia F35 non avremo penali. Ma abbiamo già speso 3 miliardi e mezzo di euro per la portaerei Cavour che dovrebbe ospitare gli F35 a decollo verticale. Allora non capiremmo per quale ragione abbiamo speso quei soldi”. Se sull’assenza di penali il ministro ha ragione, sulla Cavour dice cose non vere. Innanzitutto, questa portaerei è costata 1,9 miliardi e non 3,5: “Una cifra sparata a caso” hanno commentato, incredule, fonti della marina militare, “a meno che non si riferisse alla spesa complessiva di acquisto e di esercizio della nave dalla sua entrata in servizio fino a oggi”.
Ma la questione principale è un’altra: la portaerei Cavour, commissionata dalla Difesa a Fincantieri nel 2000, non è stata acquistata per gli F-35, ma per sostituire la vecchia e più piccola portaerei Garibaldi con una nave più evoluta e funzionale. “La Cavour nasce per imbarcare gli Harrier Av-8B o qualisasi altro velivolo a decollo corto e atterraggio verticale – spiegano le stesse fonti della marina – e anche se la sua progettazione è avvenuta in parallelo con l’avvio del porgramma JSF è azzardato affermare che sia stata progettata per gli F-35″. Ad accrescere la confusione ci sono messi anche alcuni giornali online che hanno titolato la notizia sulle dichiarazioni del ministro scrivendo che i 3,5 miliardi sono stati spesi per “aggiornare” o per “modificare” la portarerei Cavour in vista dell’imbarco degli F-35. “Finora le spese di adeguamento generico della Cavour sono state di 89 milioni di euro – spiegano le fonti della marina – ma questo costo non c’entra con gli F-35: per quelli basterà ricoprire il ponte della Cavour con una mescola più resistente al calore”.
Mauro, tuttavia, ha detto anche altro. “Complessivamente l’Europa”, ha continuato il ministro, “spende per la Difesa più che la Russia, la Cina e il Giappone messi insieme”, ma “l’inefficienza sta nel fatto che questa spesa non è né unica, né coordinata tra i 27 Paesi membri: ciascuno va sostanzialmente per la sua strada. Tutti i Paesi europei stanno riducendo quelle capacità operative che sono più costose da mantenere, ma così facendo, l’Europa nel suo complesso si ritrova con una pluralità di eserciti nazionali più piccoli e meno capaci, divenendo essa stessa meno capace di giocare un ruolo significativo sulla scena mondiale”.
I dati del 2011 indicano che i Paesi europei hanno speso nel complesso 29,2 miliardi di euro per l’acquisizione di sistemi d’arma ed equipaggiamenti. Ebbene, ha fatto notare il ministro, “di questi, solo 7,3 miliardi sono andati a programmi di acquisizione condotti in cooperazione tra due o più Paesi dell’Unione. Per la restante parte, ciascuno ha fatto per sè”. Per invertire questa tendenza si guarda con speranza al Consiglio europeo del prossimo dicembre che vedrà riuniti i capi di Stato e di Governo dei 28 paesi dell’Unione per discutere della difesa comune europea. “Non possiamo eludere la necessità – ha sottolineato Mauro – che l’Europa nel suo insieme si doti di capacità comuni, cioè propriamente europee e non semplicemente nazionali e condivise con gli altri”. E l’Italia, ha aggiunto, “che ha una storia sessantennale di assunzione di responsabilità in questo campo, ha il dover di essere nella pattuglia di testa quando si tratta di favorire la crescita della difesa europea. Dobbiamo quindi concepire il Consiglio di dicembre come il punto di partenza per una fase, spero breve, di forte accelerazione del percorso di integrazione in tema di difesa”.
In questo senso, ha proseguito, “l’Europa deve saper assumere più ampie responsabilità in materia di sicurezza internazionale. Non condivido la visione di una Nato pienamente operativa e capace di operare con efficacia in tutte le crisi militari, contrapposta ad un’Europa che fa da ‘crocerossina’, giunge a sostegno di tali operazioni, contribuendo sul piano umanitario o economico”.