Ci ammorba o, di contro, esalta da dieci anni buoni. Pharrell Williams è uno che con la musica la sua carta se l’è giocata benissimo. In prima linea sempre e comunque, un trapano al pari quasi del fido Timbaland. Duemilatredici nuovo anno di grazia per il tuttofare di Virginia Beach che in effetti se la sta passando abbastanza bene. Prima Daft Punk e “Get Lucky” (ma soprattutto, mio gusto, “Lose Yourself To Dance), poi il duetto – con relativo video-scandalo (de che, verrebbe da dire) – con Thicke (riuscire a resuscitare un ex-mezzo hippie capellone che se ne andava in giro per le strade di New York in bicicletta, credetemi, ce ne vuole).
Ecco che insomma dal 2003 non ha ancora sbagliato praticamente un colpo. Lo ricordo -strepitoso- all’Heineken Jammin Festival aprire per gente come Cypress Hill, Black Eyed Peas o Massive Attack. Una macchina che, a sigla Nerd, firmò nel 2004 un disco di crossover puro e contaminatissimo come “Fly Or Die”, eppoi svariate milioni di collaborazioni fino a incursioni nel mondo (semi)indipendente come il pezzone con Santogold e Julian Casablancas (degli Strokes) per la Converse (sì, le scarpe che prima facevano schifo a tutti. Prima). E muoversi tra rnb, hip-hop, rap, nu-soul, dance e via dicendo è competenza delle grandi menti.
Ecco Pharrel, produttore modernissimo e smaliziato come pochi, la testa pensante ce l’ha e ha sempre fiutato il come e il dove la musica fosse. Quindi daje di Madonna e Justin Timberlake, P Diddy e la Gwen Stefani. E “She Wants To Move” ad assediare le classifiche di mezzo mondo. L’estetica canfoncella e coatta da true-nero che dà il cinque e ti saluta come in Gta con un “Yo brotha” è sempre stato un po’ liofilizzata in Pharrel.
E’ sempre apparso come il fighettino che se la spassa alla grande, ma senza certe manifestazioni di onnipotenza (ogni riferimento al gigantesco Kanye West non è puramente casuale). Uno dei pochi a trasformare in oro un pezzo grezzo. I tempi sono cambiati, prima questo sporco lavoro lo faceva Brian Eno con Bowie, ora lo fa Pharrel con chiunque. Si stava meglio quando si stava peggio. Ma anche no.
E dato che in Italia ora va di moda parlare del rap come salvagente della musica (così raccontano tutti come oche, al prossimo post dirò la mia), m’è capitato di leggere in giro come tal Moreno (per i distratti: vincitore di “Amici”) ne rappresenti una sorta di reincarnazione nostrana. Al solito siamo messi bene. Anzi benissimo.