Stiamo sbagliando qualcosa. E forse, dalle parole, è tempo di passare all’indignazione. Un paese che non investe nel proprio futuro è anche un paese che lascia a casa i bambini dalle scuole e le donne dal lavoro. E questa è la storia dell’Italia.

Parte oggi, primo agosto, dalla Germania, una delle più importanti riforme sociali tedesche: un posto all’asilo per ogni bambino nato. 778mila in tutto per soddisfare le richieste delle famiglie, 200mila in più rispetto all’anno precedente. E  se il piccolo non rientra comunque nella graduatorie, la legge prevede che i genitori possano fare causa al comune, il quale dovrà provvede a trovare una sistemazione entro tre mesi. Il bello e, per noi italiani, il nuovo di questa riforma, è duplice: è stata messa a segno dalla Ministra della Famiglia, degli Anziani, delle Donne e dei Giovani, Christina Schröder, che oltre ad essere donna è persino giovane (35 anni) e mamma di due figli; accosta due concetti che messi insieme fanno assumere alla riforma il valore di una vera rivoluzione culturale e sociale: incrementare le nascite e, contestualmente, far crescere l’occupazione femminile. In una sola parola: la conciliazione della famiglia con la carriera per la crescita del paese. Sorvolando sul fatto che in Germania esista addirittura un ministero della Famiglia, degli Anziani, delle Donne e dei Giovani, quando da noi non siamo neanche riusciti a tenerci quello delle pari opportunità, la legge Schröder è il superamento del paradosso italico, che mai accosterebbe insieme due concetti considerati antitetici: maternità e lavoro. In sintesi, quel che da noi suonerebbe come un azzardo impensabile, in Europa è considerata la chiave di volta per la crescita del paese.  

L’Italia, in pratica, racconta quel che il resto d’Europa vuole evitare a tutti i costi: 800mila donne in un anno licenziate a seguito della gravidanza, miseri voucher Fornero e aiuti alle neo mamme, aggiudicati come fosse una lotteria dove a vincere è il più sfigato, mamme in crisi e nella crisi, fotografate sempre più povere e sempre più disoccupate nell’ultimo rapporto di Save the Children, scuole pubbliche che prendono fuoco e piste da sci al posto degli asili nido.

Per le scuole dell’infanzia è emergenza in tutta Italia, e se a Milano più di 3000 bambini sono ancora in lista d’attesa, la maglia nera è della Capitale. A Roma, lo scorso anno, per 77.000 bambini tra zero e due anni, erano disponibili solo 24 500 posti negli asili. I nidi e le materne, quando ci sono, restano affollati, ma questo non basta per aprirne o ristrutturarne nuovi. Molti rimangono chiusi, e questo è il segno della mancanza di volontà politica nell’assegnare un posto per ogni bambino. Di esempi ce ne sono a bizzeffe. A Nel municipio X della Capitale, tra i più popolosi, alcuni genitori si sono costituiti nel comitato Zona Franca, per denunciare che l’unica scuola materna statale nel quartiere di Ostia Antica (quella di via Orioli) è chiusa perché i lavori di ristrutturazione sono inspiegabilmente fermi da tre anni.

 Una vicenda analoga a quella della scuola fantasma di Selva Candida, periferie nordovest di Roma, a cui costruzione non è mai decollata nonostante lo stanziamento in bilancio di 5 milioni di euro. La società che doveva eseguire l’opera ha deciso di sciogliere il contratto perché l’allora giunta comunale ha impiegato oltre 3 anni prima di consegnare l’area per l’inizio dei lavori. Il quartiere, ad oggi, resta sprovvisto di qualsiasi scuola e i bambini, costretti a diventare piccoli pendolari, si alzano alle 6 del mattino per prendere un pullman alle 7.15, che costa oltre 1 milione e che impiegherà oltre un’ora e venti per portali a scuola. A nulla sono valse le battaglie dei residenti, che hanno depositato 1346 firme presso il dipartimento lavori pubblici per chiedere lo sblocco dei lavori.

Lo dicono i più grandi esperti di economia mondiale: investire in prevenzione, nella scuola e sulle donne non è una spesa ma un grande investimento e un risparmio per il futuro. I costi per riparare i danni a volte irreparabili sono e saranno sempre maggiori. 

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