La nuova disciplina in materia di diffamazione è, ormai, in dirittura di arrivo e, nei prossimi giorni la Camera dei Deputati dovrebbe licenziare il suo testo definitivo.
Non si andrà più in carcere per diffamazione e, questa, è una gran bella notizia anche se, con un po di obiettività, occorre riconoscere che lo strumento di intimidazione più temuto dai giornalisti non è il carcere ma le azioni risarcitorie multimilionarie, troppo spesso impunemente promosse, al solo scopo di intimidire un giornalista e provare ad imbavagliarlo, minacciandolo di rovinarlo economicamente.
Sotto questo profili, purtroppo, sin qui, la Camera non se l’è sentita di tirar fuori i muscoli e stabilire l’improcedibilità dell’azione risarcitoria in caso di pubblicazione di rettifica e, soprattutto, di stabilire che chi trascina in tribunale, con richieste risarcitorie temerarie, un giornalista o un editore solo per farlo tacere deve essere condannato ad una sanzione salata e disincentivante o a versare a questi ultimi un risarcimento con tanti zeri quanti ne ha avuti la richiesta risarcitoria avanzata.
Tanto basta per giudicare la riforma della disciplina della diffamazione ormai prossima al varo, una riforma modesta, timida, poco coraggiosa e che risponde più ad esigenze politico-mediatiche [n.d.r. poter raccontare che si è abolito il carcere per i giornalisti] che ad una concreta volontà di difesa della libertà di informazione nel nostro Paese.
C è invece una novità più preoccupante che confortante.
La Camera dei Deputati – con la sola ferma opposizione del movimento cinque stelle – ha intenzione di estendere anche a Internet l’applicazione della disciplina sulla diffamazione anche se, limitatamente, alle testate telematiche registrate in tribunale ai sensi della vecchia legge sulla stampa.
Decisamente meglio rispetto alle originarie intenzioni che minacciavano di rendere applicabile la disciplina sulla stampa a chiunque comunicasse online ma non bene.
Sul punto bisogna essere chiari per evitare il rischio di equivoci.
Non c’è ragione per sottrarre le testate telematiche online all’applicazione della disciplina sulla diffamazione perchè si tratta, evidentemente, di prodotti analoghi alle testate cartacee con le quali è, pertanto, giusto condividano onori e oneri.
Il punto è, però, che l’intervento normativo in materia richiede più tempo e maggiore cautela.
Un problema su tutti: le testate telematiche ospitano, oltre ai contenuti prodotti dalle redazioni, centinaia di blog di altrettanti blogger ai quali si limitano ad offrire spazio e visibilità e centinaia di migliaia di commenti dei lettori.
Nessuno – ivi incluso il direttore responsabile – può controllare cosa accade in questi spazi che, pure, sono ormai diventati irrinunciabili presidi di libertà di comunicazione e informazione.
L’attuale formulazione della norma secondo la quale la disciplina sulla diffamazione è applicabile anche alle “testate telematiche”, ne comporta l’applicabilità anche ai commenti dei lettori ed ai post dei blog.
Se tale formulazione trovasse posto nella versione definitiva il risultato sarebbe condannare a rapida estinzione, nel nostro Paese, un numero enorme di straordinari spazi di libertà che sono, probabilmente, tra i principali protagonisti della pacifica rivoluzione mediatica che ha, finalmente, restituito a tutti i cittadini il diritto di esprimere quello che pensano e di far sentire la loro voce.
E’, infatti, evidente che non c’è editore né direttore responsabile di una testata online che possa permettersi il lusso di rischiare sanzioni pecuniarie a tanti zeri e azioni risarcitorie ancor più esose solo per permettere ad un cittadino di dire la sua dalle colonne del proprio giornale.
E’, per questo – o, almeno, anche per questo – che la porta della disciplina della diffamazione online non può essere aperta nell’ambito di un intervento normativo non adeguatamente ponderato e riflettuto. Sarebbe opportuno rinviare ad un’altra occasione e pensarci meglio e di più.
Se, tuttavia, in Parlamento è impossibile resistere alla tentazione di dettare nuove regole anche per l’informazione online, allora, è indispensabile, almeno, chiarire che la disciplina sulla diffamazione, non si applica ai commenti postati dai lettori ed ai blog, anche se pubblicati su testate telematiche regolarmente registrate.
In caso contrario, una legge nata per difendere la libertà di informazione si trasformerebbe in un’ennesima liberticida, legge bavaglio.
C’è poi un altro aspetto sul quale sarebbe opportuno che, in Parlamento, ci si fermasse a riflettere: nel 2013, non ha senso continuare a riservare ai giornalisti – che siano professionisti o pubblicistigaranzie superiori rispetto a quelle riconosciute a chiunque altro faccia informazione, magari, dalle colonne delle stesse testate, specie se telematiche.
Eppure la nuova legge prevede che il diritto al segreto delle fonti sia riconosciuto solo a giornalisti professionisti e pubblicisti.
Non è giusto, è un macroscopico errore di prospettiva ed un anacronistico privilegio.
Chiunque faccia informazione – non importa se per mestiere o per passione – deve poter contare sulle stesse garanzie. 
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