Luca, 29 anni, è country manager a Doha per una multinazionale di business intelligence. È partito dalla provincia di Cosenza. "Mia madre era un'impiegata, mio padre un operatore socio-sanitario. Se fossi rimasto, non avrei fatto molta strada"
Quando le porte scorrevoli si aprono, bisogna montare in carrozza senza stare a pensarci troppo. Per Luca il treno buono è arrivato nel 2008 e lui è stato veloce a salire. Perché tra Sant’Agata d’Esaro, provincia di Cosenza, e Doha non ci sono solo 5mila chilometri e qualche grado di latitudine, c’è uno stargate che separa due dimensioni: quella italiana dei trentenni spauriti della Generazione 1.000 euro e l’universo in espansione degli Emirati in cui un ragazzo di 27 anni diventa dirigente di una multinazionale. “Non sono figlio di ricchi o di politici – racconta Luca Spinelli, 29 anni, ingegnere elettronico sul curriculum, country manager in Qatar per una grande azienda spagnola – se non me ne fossi andato, non avrei avuto le stesse possibilità”.
Luca ha fatto funzionare il business e l’azienda lo ha promosso. Ma al di là dello stipendio, per lui è questione di prospettiva: “Sono giovane e qui mi stanno dando la possibilità di crescere”. Bisogna avere naso e fortuna per sceglierseli, i treni. Quello di Luca è passato per caso. “All’epoca non pensavo di andarmene via. Stavo finendo l’università a Cosenza – racconta – quando è morta mia madre e ho deciso di lasciare la Calabria. A Roma ho iniziato la specialistica in ingegneria biomedica, poi ho trovato lavoro in una multinazionale che fornisce servizi alle grandi aziende. Avevo un contratto, ma non volevo fermarmi, volevo sentire di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno. Lì si stava bene, ma tutto questo non era possibile”. I curriculum seminati in giro cominciano a dare i primi frutti: “Nel 2008 mi chiama la multinazionale per cui lavoro e decido di accettare: per prima cosa mi spediscono 6 mesi a Barcellona ad imparare l’inglese e lo spagnolo”. E la vita cambia: “Mi hanno subito offerto progetti all’estero, con la possibilità di lavorare in tutta Europa. E soprattutto di farlo con prospettive di crescita che in Italia sono inimmaginabili”. Ora Luca fa quello che si chiama business intelligence: “Insegniamo alle aziende ad usare i loro dati per prevedere il futuro: decidere quando e quanto assumere, come gestire le risorse umane, quando fare determinanti investimenti”.
Nell’azienda è arrivato da soldato semplice: “Dopo avermi testato in Europa, la società mi ha offerto di andare a lavorare in Qatar per espanderci sul mercato. Ho cominciato a vivere tra Doha e Dubai e i risultati sono arrivati. Così il board ha deciso di premiarmi: ora sono country manager per il Qatar e coordino un gruppo di 9 persone”. Un ragionamento lineare oltreconfine, un miraggio per chi ogni giorno affronta il deserto di un’Italia che sui giovani non punta perché poco capace di pensare in prospettiva: “Lì da voi le logiche sono sempre le stesse, le conoscenze contano molto, una ‘buona parola’ è sempre richiesta. Mia madre era un’impiegata, mio padre è un operatore socio-sanitario, non potevano nemmeno permettersi di farmi studiare in università troppo costose. Se fossi rimasto, non avrei fatto molta strada”.
Nessun rancore, con l’Italia amici come prima: “Vivo in pace, so di non poter strafare ma ora posso anche aiutare la mia famiglia”. Luca ha una sorella. Neanche lei è riuscita a restare. “Si è laureata in Scienze della nutrizione con 110 e lode, dopo il tirocinio ha cominciato a mandare in giro il curriculum: per mesi le hanno offerto solo stage e lavori non retribuiti. Così se n’è andata a Londra: il primo anno è stato difficile, ora ha trovato un posto e sta bene. Non vuole tornare. Io le do una mano, ora che posso”. Aspirazioni comuni a chi è rimasto, in un contesto lontano anni luce dalle certezze nostrane: “Io vivo senza articolo 18: so che domani mattina possono licenziarmi senza preavviso, ma se sei qualificato qui il lavoro lo trovi. Per questo sono tranquillo”.
Dai duemila abitanti di Sant’Agata allo skyline di Doha, la nostalgia non va via: “Ma tornare no, non ci penso proprio. O trovo un’azienda che mi offre la stessa posizione che ho qui, o tornerò quando sarò vecchio: il mio piano pensione è in Italia, i risparmi li mando lì”. Lì, in paese, sono rimasti gli affetti e i ricordi: “Tutte le estati ci torno a spendere i miei soldi, mi piace pensare di riuscire a far girare un po’ l’economia. Da Doha seguo quello che succede, come le elezioni del sindaco, partecipo ai dibattiti politici via Facebook, tifo la mia squadra di calcio: abbiamo vinto due campionati, ora siamo in prima categoria”. Ma l’incanto non cancella la realtà di un paese per il quale i giovani sono solo numeri nelle statistiche sulla disoccupazione: “Ogni volta che parlo con i miei coetanei rimasti in Italia, non riesco a non fare la stessa domanda: ma dove lo trovate il coraggio per restare?”.