In fondo non si può che provare tenerezza per lui. Mario Monti ha appena scoperto che le riserve della Repubblica funzionano, appunto, finché fanno le riserve. Se gli viene in mente di entrare in campo e giocare, diventano in cinque minuti come un Pier Ferdinando Casini qualunque. Il preside della Bocconi, lo stimato economista, l’uomo invocato dai meglio consessi continentali e non per risollevare il Belpaese, l’austero consigliere d’amministrazione di questo e quello, il salvatore della Patria dallo spread, Mr. Monti non esiste più: un paio d’anni di politica e, come il giovane scrittore di Arbasino, è passato senza colpo ferire da brillante promessa a solito…

Va detto, purtroppo, che il nostro ci sta mettendo del suo: si agita, minaccia, cede, tratta, s’invischia in tutti i riti della politica che trattava col massimo disprezzo quand’era a palazzo Chigi. L’irrilevanza lo sta distruggendo, come pure l’assenza di una via d’uscita adeguata alla sua idea di sé. Monti, per dire, sembra puntare ancora sull’equivoco Scelta Civica, il rassemblement di quanti hanno pensato di crearsi (o salvarsi) una carriera nascondendosi dietro l’italiano più amato dalla Merkel. Il fatto è che, a tracollo elettorale avvenuto, il professore non è stato più lo stesso: forse “ha perso lucidità”, come ha detto Andrea Olivero, la più recente pietra dello scandalo tra i montiani, oppure – parafrasando Flaiano – l’insuccesso gli ha dato alla testa. Corrado Passera, ministro incolore ma politico evidentemente più furbo del suo premier, l’aveva capito talmente per tempo che s’è sfilato ancor prima delle elezioni, sperando di rientrare in gioco dopo: per ora, è andata male anche a lui.

Fatto sta che la sconcertante varietà dell’accrocco elettorale montiano s’è subito mutata in un caos triste. Lontani i tempi in cui frotte di cronisti aspettavano il futuro capo del governo Monti sotto il suo albergo del quartiere romano Monti beandosi della coincidenza; lontane pure le ali di folla plaudente dell’hotel Plaza, quando il nostro rivelò al mondo il simbolo di Scelta Civica tra gli “oh” di meraviglia dei presenti. Il risultato, oggi, è un bollettino di guerra: scomparsi nelle urne i finiani di Futuro e Libertà, sotto choc e in disperato tentativo di autoconservazione l’Udc, la miscela tra gli eletti in quota Montezemolo, i cattolici di Sant’Egidio o i “todini” tipo Olivero (ex Acli), gli acquisti singoli come il genero di Bazoli, Gregorio Gitti, e i riciclati da altri partiti come Mario Mauro, Lorenzo Dellai o Pietro Ichino semplicemente non è mai avvenuta. In Scelta Civica è successo semplicemente quel che doveva: gli animali più svegli e pronti hanno preso il sopravvento. Nel caso di scuola, si tratta dell’ala cattolica: Mauro e D’Alia (Udc) sono ministri; Olivero coordinatore; Dellai e Susta (entrambi Dc, poi Pd e infine in “Verso Nord”) capigruppo; Ferdinando Adornato è segretario d’aula alla Camera, Casini presidente di commissione in Senato. Ai laici, le briciole e un paio di posti di sottogoverno.

Così è cominciata la frana. Italia Futura, l’associazione di Luca Cordero, ha tolto il suo appoggio a Scelta Civica appena vista la malaparata e i suoi tre parlamentari hanno cominciato a lamentarsi. Nel frattempo l’Udc tenta di riorganizzarsi – ma potrebbero essere gli ultimi movimenti di un corpo morto – e pensa di farsi i suoi gruppi alle Camere portandosi dietro un po’ di catto-montiani.

E allora che fa il nostro eroe? Per evitare di ridursi a una corrente del suo partito, a metà luglio tenta il colpo di coda: convoca una bella convention coi dirigenti locali di SC, lascia trapelare un discorso di fuoco, forse uno sdegnato addio alla politica. Poi, come un Mariano Rumor, si presenta sul palco e – dopo una mezz’ora di odi a se stesso butta sul “volemosebbene”. Almeno si sarà dato pace, penserà il lettore. Macché. Venerdì scorso, l’ex premier scopre che i “suoi” cattolici (Olivero, Dellai) sono andati ad un convegno dell’Udc sul popolarismo europeo e intravvede il nuovo tradimento: questi vogliono farsi un partito loro. Risultato: il nostro dà di matto e fa scrivere una nota in cui scomunica i reprobi. Poi manda una email ai dirigenti del suo partito: “Mercoledì sera facciamo una Direzione per cacciare Olivero da coordinatore o me ne vado”. L’appassionante happening s’è tenuto ieri sera sul tardi, visto che Monti ha rifiutato ogni ipotesi di pacificazione.

E così è stato: alla fine dell’incontro (durato 4 ore), Olivero è stato sollevato dal ruolo di coordinatore, le cui funzioni saranno prese collegialmente dal Comitato di presidenza. secondo diversi presenti, Mario Monti è arrivato a dare le dimissioni da presidente del movimento. Dimissioni rientrate solo dopo che i parlamentari gli hanno letteralmente impedito di uscire dalla sala. “Ma l’addio è solo questione di tempo”, spiega chi gli ha parlato.

Da Il Fatto Quotidiano del 1 agosto 2013

Aggiornato da Redazione web alle 10.00

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