Banca Carige è sempre più a corto di ossigeno. Stretta nella soffocante morsa di una crisi che non risparmia nessuno e di un socio forte (si fa per dire) come la Fondazione Carige avida e squattrinata, l’istituto ligure ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con 29 milioni di perdita a fronte dei 90 milioni di utili realizzati nello stesso periodo del 2012. Il giorno dopo la diffusione dei conti la reazione a Piazza Affari è incerta, con il titolo che ha terminato la seduta in leggero rialzo. A preoccupare non è la perdita in sé, dovuta soprattutto ai 240 milioni di svalutazioni operate sui crediti deteriorati quanto la situazione patrimoniale della banca che rimane molto debole. Operativamente la banca fornisce anche segnali di vitalità come dimostrano i 40mila nuovi conti aperti nel semestre o la sostanziale tenuta della raccolta presso i risparmiatori.
Quello che manca è però soprattutto un “cuscinetto” di mezzi propri (leggi soldi freschi versati dagli azionisti) che permetta di muoversi con un minimo di tranquillità nel difficile contesto economico. Il cosiddetto core tier 1, vale a dire il rapporto tra patrimonio e impieghi (in altri termini tra le ricchezze che possiede una banca e l’ammontare complessivo dei suoi prestiti), è fermo al 7,1% un livello basso e ancora lontano da quel 9,6% richiesto dagli accordi di Basilea 3 che mirano proprio a rendere le banche più solide e sicure. Facciamo un esempio: se una banca possiede 10 miliardi (suoi, non dei depositanti) a fronte di 100 miliardi di prestiti ha un rapporto del 10%. Se dovesse registrare perdite sui prestiti per 5 miliardi le resterebbero comunque 5 miliardi.
Se il core tier 1 fosse invece stato del 5% la stessa perdita avrebbe totalmente azzerato le risorse a disposizione della banca. Per migliorare questo rapporto ci sono chiaramente due strade, o arrivano soldi freschi e il patrimonio della banca si irrobustisce oppure si diminuiscono i prestiti con tutte le conseguenze del caso: credit crunch e, in prospettiva, ridimensionamento dei ricavi (visto che, in teoria, una banca più presta più dovrebbe guadagnare). Vista la situazione la Banca d’Italia ha imposto al gruppo Carige un aumento di capitale da 800 milioni di euro. Il problema è che l’assegno più ricco dovrebbe staccarlo la Fondazione Carige che possiede il 47% del gruppo bancario. Per mantenere invariata questa quota servono poco meno di 400 milioni che la Fondazione non ha e non vuole farsi prestare.
Ma non vuole neppure ridurre la sua partecipazione come invece accadrebbe se i soldi arrivassero con l’emissione di nuove azioni acquistate da nuovi soci o altri azionisti. Per salvare capra e cavoli, ma non necessariamente per il bene della banca, si è così scelto di trovare i soldi vendendo tutto quello che si poteva vendere. Sono finiti sul mercato le compagnie Carige assicurazione e Carige Vita, la sgr del gruppo Carige asset management e anche il 20% dell’Autostrada dei Fiori posseduto dalla banca. Basterà? Viste le valutazioni delle varie società in teoria si, in pratica per ora di concreto c’è solo la cessione della sgr ad Arca che ha fruttato 93 milioni.
Il tempo stringe e le relazioni all’interno della compagine azionaria si sta surriscaldando. Nelle ultime 72 ore sei consiglieri hanno rassegnato le dimissioni dal Cda, quattro erano espressione della Fondazione, gli altri due dei soci francesi di Bpce. La necessità di un rafforzamento patrimoniale appare ancora più cogente se si guarda alla situazione dei crediti deteriorati (ossia quei prestiti che non saranno più recuperati o lo saranno solo in parte) che rappresenta il problema di tutto il sistema bancario italiano.
Per Carige il rapporto tra prestiti di difficile recupero e il totale dei finanziamenti in essere supera il 14%, in linea con la media italiana, ma con un incremento del 36% solo negli ultimi sei mesi. Su 28 miliardi di euro di crediti in essere, 4,2 miliardi risultano a rischio. Secondo una recente simulazione un ulteriore incremento del 50% nell’ammontare dei crediti dubbi (e delle conseguenti perdite da iscrivere a bilancio), sarebbe sufficiente ad azzerare il capitale della banca. Il limbo delle zombie bank dove si trascinano gli istituti in cui le passività pareggiano o superano gli attivi non è insomma così lontano.
In un anno il titolo ha perso in Borsa il 32% e non stupisce che la capitalizzazione della banca, ossia il valore che i mercati le attribuiscono, sia pari ad appena allo 0,2% del valore dichiarato nei bilanci. Un socio veramente forte dovrebbe fare di tutto per ribaltare questa situazione mettendo anche in conto di rinunciare a lungo ai dividendi per destinare ogni centesimo ad irrobustire la banca. Purtroppo Fondazione Carige, le cui entrate dipendono all’88% da quanto versa la banca, difficilmente sarà d’accordo.