Il paragone più gettonato sui social network è con Alfonso Capone detto Scarface. Ma al di là della coincidenza sul reato, la sentenza Mediaset suggerisce una chiave di lettura che evoca Salvatore Giuliano.

Chi ha visto il film di Francesco Rosi ricorderà che gli scontri tra la banda Giuliano (a lungo sostenuto e utilizzato secondo bisogna dal notabilato mafioso) e lo Stato aveva paralizzato le attività più redditizie della mafia. La presenza massiccia di Carabinieri, esercito e soprattutto l’allerta della pubblica opinione sulla situazione in Sicilia stravolgeva coperture e libertà di azione indispensabili ai traffici illeciti.

Annichilita dal danno economico, la mafia decise di liberarsi dell’insostenibile presenza (che per di più custodiva segreti pericolosi, sepolti definitivamente col caffè corretto servito a Gaspare Pisciotta), scodellando il latitante ai Carabinieri, i quali, a suggello degli impegni, inscenarono la farsa della fuga.

Tornando ai giorni nostri, l’epilogo ha tratti meno cruenti, ma l’analogia resta: molti hanno creduto di potersi servire di Berlusconi e alcuni ci sono persino riusciti. Inoltre, tanti hanno inalato a pieni polmoni gli allucinogeni sulle grandi riforme, l’abolizione dell’Irap, l’art. 18, la scossa all’economia, le grandi opere, la giustizia giusta, lo Statuto del Contribuente, la sburocratizzazione, il federalismo.

A cominciare dagli imprenditori che si spellavano le mani ai convegni di Confindustria e che oggi frignano, maledicono la politica e si disperano per i disastri compiuti, anche grazie al loro operoso sostegno, dall’ex Unto. Anzi nemmeno troppo ex visto che lo hanno rivotato in massa appena pochi mesi fa, confermando che per i bauscia il fanatismo cialtrone è la fase cianotica del masochismo provinciale. Evidentemente non erano bastati quasi dieci anni (con breve interruzione) di malagestione economica e di oscenità fiscali accumulati con squinternata spocchia dal Tremonti Superministro.

Quelli che vengono definiti poteri forti – in realtà un coacervo di debolezze con reciproci diritti di veto derivanti da rendite di posizione pietrificate – avevano puntato su Monti, come manovra aggirante per evitare lo scontro frontale con il Caimano al quale li legavano corposi debiti di riconoscenza.

Ma in un paio di mesi l’aspirante Padre della Patria era scivolato verso una deriva grottesca, attorniato da ministri in assidua gara di pompa ed inconcludenza. Non paghi dell’impatto contro lo spigolo del Rigor Montis, fini cervelli protetti da ciuffo laccato avevano puntato all’en plein elettorale sotto gli stendardi del Professore. Un’epopea naufragata miseramente in beghe di pollaio con Casini e Oliviero, che hanno usato Scelta Civica come un taxi, per quanto sgangherato, rifiutandosi di pagare la corsa.

Insomma di fronte allo spettro della bancarotta persino la coalizione degli interessi pietrificati, banche, industrie private, boiardi dell’Eni e di altre società pubbliche, grand commis di vario conio, ordini professionali, hanno concluso che un Berlusconi ossessionato dal miraggio dell’impunità non poteva permettersi di sostenere le misure drastiche ed impopolari necessarie per affrontare la crisi e rimanere a galla nelle correnti impetuose della globalizzazione.

Un imputato a tempo pieno, ricattabile da chissà quanti lati, ha bisogno di tutto il consenso accaparrabile nel mercato politico per poterlo spendere nella lotta contro magistratura e altri pezzi della società a lui ostili. Con le sue smanie urticanti, la corte dei miracoli di olgettine disseminate tra parlamento e governo, i consiglieri economici da baraccone, le macchiette salivanti nei media, il burlesque in mondovisione, Berlusconi era diventato la falla sotto la linea di galleggiamento per l’economia, i partner europei e, di conseguenza, per gli interessi di quanti stanno cercando di resistere al vortice che li risucchia.

Sull’Operazione Pelletteria (che, se dovessi scommettere, dal Quirinale è stata seguita con atteggiamenti che oscillano dalla benevola neutralità al dichiarato beneplacito) è stata apposto un sigillo di ceralacca rosso, lucido e oltremodo vistoso: l’articolo del Corriere della Sera che ha acceso un faro di luce abbagliante sulla scadenza dei termini di prescrizione, l’asso stivato nella manica del collegio difensivo, senza il quale la strategia dei principi del Foro ha mostrato l’efficacia di un due di Coppi.

Si fosse stati nel periodo fino al 2011 presumibilmente la Cassazione avrebbe proseguito il sonno beato. Nel 2013 si è prodotto lo scatto di reni che ha fatto imbufalire i berluscoidi. E così il colpo è andato a bersaglio. Altri sono in canna, in attesa sia dei processi in corso, sia di quelli che inevitabilmente emergeranno nei prossimi mesi grazie alle miriadi di solidarietà (ad esempio sull’eleggibilità) ed omertà che, intuito il cambio di regime, si sgretoleranno di fronte alle domande dei Pm.

Se nel Pd ci fosse qualcuno che ancora dispone di un neurone residuo (Renzi? Civati? Cuperlo?) dovrebbe puntare immediatamente ad una legge anti-trust per strappare a Berlusconi il controllo delle televisioni.

Gli ultimi colpi di coda saranno comunque sferzanti e l’esito non univocamente scontato. Ma se Berlusconi dovesse vincere alle prossime elezioni anche dai domiciliari allora tanto meglio mettersi l’animo in pace e rassegnarsi al disastro.

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