A guardare i conti e le quotazioni delle ex municipalizzate, sembrerebbe proprio che le dinamiche virtuose degli scorsi anni siano un lontano ricordo. Emblematico è il caso di Iren – la multiutilty quotata in borsa, frutto dell’alleanza tra Torino, Parma, Reggio Emilia, Genova, Piacenza e partecipata da Intesa San Paolo (2,75%) e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (2,3%). Iren è in particolare alle prese da tempo con un debito enorme, investimenti a rischio, valori del titolo ancora lontani da quelli dell’estate del 2010, quando nacque. Problemi noti a cui si è aggiunto, come ha riportato l’agenzia Radiocor negli scorsi giorni, un derivato in rosso per 20,7 milioni stipulato con Goldman Sachs dalla Finanziaria Sviluppo Utilities, holding con cui Genova e Torino controllano Iren.
Va certo rimarcato che il bilancio 2012, approvato nelle scorse settimane, evidenzia un ritorno all’utile, nonché un incremento del volume di affari (4,3 contro i 3,5 miliardi di euro del 2011), che però nel primo trimestredi quest’anno arretra del 14,9% (1,1 contro 1,3 miliardi del 2012). Al contempo il peso dell’indebitamento nel 2012 è rimasto a livelli di guardia (2,55 miliardi di euro contro i 2,6 del 2011). E anche nei primi 3 mesi del 2013 non decresce sensibilmente, come il management si aspettava, quale risultato di una serie di azioni messe in campo. Come la dismissione di una parte del patrimonio immobiliare, il cui conferimento ad un fondo comune di investimento immobiliare dovrebbe generare plusvalenze operative per circa 28 milioni di euro.
Poi vi è da considerare che proprio che negli scorsi mesi si è perfezionata l’uscita di Iren da Edipower. Una scalata, quella su Edipower, che per Iren ha voluto dire dispiegare un impegno finanziario pari a circa 160 milioni di euro, mettendosi però in pancia 225 milioni di euro di debito.
Una ulteriore boccata d’ossigeno, pari a 80-90 milioni di euro, avrebbe dovuto arrivare con il perfezionamento dell’acquisto del 49% del capitale di Iren Ambiente – società del gruppo che gestisce gli impianti di trattamento, recupero e smaltimento dei rifiuti – da parte del Fondo F2i. L’operazione, però, come è noto, è tornata in alto mare, dopo che F2i ha bloccato l’investimento, fino a quando non verrà fatta chiarezza sui rischi di natura legale dell’impianto di incenerimento di Parma.
Su altri fronti non tutto procede liscio. Sono non poche, ad esempio, le incognite sul rigassificatore offshore di Livorno ed i cui costi di realizzazione, cresciuti nel tempo da 300 milioni a 1 miliardo, hanno indotto l’anno scorso Iren a ristrutturare le relative linee di credito con un finanziamento di 240 milioni.
Sui conti Iren pesano poi la spesa per i compensi ai 13 amministratori, che ha raggiunto nel 2012 la cifra di quasi 2,5 milioni di euro. Va detto che il recente accordo sulla nuova governance e sulla nomina dei vertici porterà alla soppressione della figura del direttore generale, ma non al taglio di alcuni posti nel nuovo Cda, alla cui presidenza è stato chiamato l’ex ministro Profumo.
Si tratta di un riassetto minimale, rispetto alle indicazioni di un comitato di saggi che puntavano a togliere peso alla territorialità. Ed in effetti rimarrà invariata la struttura delle cinque società di primo livello – Iren Ambiente, Acquagas, Energia, Emilia e Mercato – con la conseguenza che gli enti locali continueranno ad esercitare una notevole influenza su nomine e gestione delle società medesime. E ad avere, quindi, nelle proprie mani, piccoli-grandi centri di potere.
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