Nel mio precedente post avevo scritto che oggi il sapere umanistico vive soprattutto in Italia una straordinaria crisi della quale sono convinto non si colga bene la portata. Molti lettori hanno orientato i loro commenti sulla crisi delle lauree umanistiche, che – come scrivevo – sono soltanto una delle spie di questo problema, il quale è ben più generale e grave.

Nel frattempo la settimana è stata segnata dalla condanna divenuta definitiva di Silvio Berlusconi, ritenuto colpevole di una maxi frode fiscale e come tale sanzionato in ultimo dalla Cassazione. Di tutta quella vicenda mi interessano qui solo due elementi, del resto già ampiamente sottolineati dalla stampa: l’esultanza scomposta del cosiddetto “esercito di Silvio” che di primo acchito non ha capito la sostanza della sentenza della Cassazione, interpretandola come un’assoluzione; e l’uniforme reazione di tutto il centrodestra – dai parlamentari agli organi di stampa fino alle tv del Cavaliere – secondo il quale si è trattato di una sentenza tutta politica che ha trasformato Berlusconi in un martire. Ora, in nessuno dei due casi ci si è presi la briga di analizzare la vicenda e semmai di contestarla nei dettagli, come fece ad esempio Adriano Sofri quando subì la condanna per l’affaire Calabresi. Non solo Sofri – e con lui molti altri, a cominciare da Carlo Ginzburg – entrò nei dettagli per controargomentare rispetto alle conclusioni delle varie corti che lo avevano giudicato, proponendo una lettura dei fatti alternativa e basata su elementi a suo parere probanti, ancorché non ritenuti tali dai giudici; ma lo stesso Sofri entrò in carcere per scontarvi la pena che era divenuta definitiva con la sentenza della Cassazione.

Con Berlusconi è accaduto il contrario: nessuna analisi dei fatti contestati né alcuna relativa controargomentazione e, invece, immediata richiesta di grazia. In sostanza Sofri si fece espressione di un sapere umanistico all’opera (contestabile quanto si vuole, ma efficace), Berlusconi è l’emblema della demonizzazione di quel sapere: perché sollecita reazioni a prescindere, perché sostituisce lo svolgimento di un pensiero con la scorciatoia dell’invettiva o dell’insulto.

Personalmente non ho mai pensato che il sapere umanistico sia in qualche modo superiore a quello scientifico, né che vi sia un dualismo tra questi due universi della scienza (basterebbe leggere qualche pagina dei Cahiers di Paul Valéry per vedere quanto tutto il pensiero dell’autore di Monsieur Teste sia permeato da una riflessione matematico-scientifica). Semplicemente il sapere umanistico è il necessario grimaldello della sensatezza del nostro agire: spiego perché quella sentenza eventualmente non mi convince e mi comporto di conseguenza. Se lo metto al bando divento solo una scheggia impazzita in mano alle pulsioni.

La scienza in generale – qualunque sia il suo campo di espressione, filosofico, matematico, artistico, medico, ecc. – avanza a partire dalla manifestazione del dubbio, dell’inquietudine, del continuo interrogarsi che produce incessantemente altri interrogativi. L’arte nelle sue diverse forme ha solo il compito – ma ha tutto il compito – di rendere plastiche quelle manifestazioni, attraverso le grandi sintesi di cui essa è capace. Se perdiamo il desiderio di essere avvolti dalle sintesi di cui le arti sono capaci, rischiamo di diventare piccoli burattini in balia di grandi ammaestratori.

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