"Io, laureata, motivata, sfruttata… In stage!" di Cyndi Barbero, “L'amore ai tempi dello stage” di Alessia Bottone, Noi non dormiamo” di Kathrin Röggla sono tre letture da fare sotto l'ombrellone (o sul balcone di casa) per sentirsi meno sole in questo momento di scarse opportunità lavorative. “Che cosa intendi per domenica?” di Silvia Bencivelli racconta invece come affrontare ingiustizie, squilibri e difficoltà quotidiane mettendo al centro l'indipendenza del proprio mestiere
In un’estate da record per precarietà e disoccupazione – in particolare per le giovani donne che soffrono maggiormente le difficoltà del mercato del lavoro – sono arrivate nelle librerie quattro pubblicazioni sul tema. Auto-narrazioni e racconti al femminile da leggere sotto l’ombrellone (o sul balcone di casa) per sentirsi meno sole oppure, nel caso si sia tra le fortunate a non avere mai sperimentato di persona le parole “stage”, “precarietà” e “disoccupazione”, per conoscere un modo che spesso viene rappresentato soltanto attraverso fredde statistiche.
Da Parigi il fumetto cult “Io, laureata, motivata, sfruttata… In stage!” di Cyndi Barbero, in arte “Yatuu”, pubblicato da Hop Edizioni. Il manga è tratto dal blog che l’autrice ha tenuto negli anni di stage. Con ironia Barbero racconta la difficile vita da stagista nelle agenzie di comunicazione, in cui si è costretti a lavorare quasi gratis (in Francia, come dovrebbe accadere presto anche in Italia per applicazione della riforma Fornero, gli stage prevedono un rimborso spese di qualche centinaia di euro, ndr) fino a tarda notte e nei weekend, per dimostrare la propria bravura e il proprio impegno e sperare, alla fine, di essere assunti. Il tanto agognato contratto di lavoro, però, non arriva mai e l’universo della stagista si popola di personaggi come lo stressatissimo “commerciale”, il cannaiolo “art director”, gli “assunti” menefreghisti, i “capi” sfruttatori. Yatuu cerca di tirare avanti tra ansie per il futuro (si immagina a 35 anni di avere una figlia piccola che le chiede: mamma che lavoro fai? Risposta: la stagista), sogni di vendetta verso i capi e gli assunti e il suo desiderio più grande: un tempo indeterminato.
Si intitola, invece “L’amore ai tempi dello stage” (edito da Galassia arte) il libro di Alessia Bottone, 28enne laureata, con anni di stage alle spalle anche all’estero, che ora lavora in un call center. Nel testo sono raccolte una serie di situazioni tragicomiche che raccontano la difficoltà di stare e restare in coppia nell’epoca del precariato spinto. Il messaggio di fondo è che non serve piangere o lamentarsi ma è meglio ridersi addosso, anche se l’amarezza resta, come quella che traspare dalla lettera che Bottone lo scorso anno ha inviato all’ex ministro Fornero.
Più caustico, invece, “Noi non dormiamo”, edito da Isbn, scritto da Kathrin Röggla, giornalista e drammaturga di Berlino. Un romanzo che è anche un’inchiesta in cui si studia il momento del sonno di una serie di precari della cultura: web designer, consulenti aziendali, stagisti, account e programmatori. In decine di interviste prende forma una sorta di flusso di coscienza per più voci, dal quale emerge il rapporto tra le persone e il sistema in tutta la sua selvaggia complessità. Nel testo affiora il senso di una stanchezza cronica, dell’obbligo pulsante della prestazione, di gerarchie fisse, del lavoro che avvolge tutto, dalla vita privata ai suoi piccoli piaceri.
Ribalta invece il punto di vista sulla precarietà Silvia Bencivelli con “Che cosa intendi per domenica?”, pubblicato da Liberaria. Laureata in medicina, Bencivelli decide di cambiare percorso e diventare giornalista scientifica. Felice della sua scelta affronta le ingiustizie, gli squilibri e le difficoltà quotidiane con uno spirito diverso da quello presente nelle auto-narrazioni precarie. “Il mio lavoro è il mio nord e il mio sud, il mio est e il mio ovest, il mio mezzogiorno e la mia mezzanotte. Sono il mio boss e la mia segretaria, il mio contabile e il mio scribacchino. Faccio fotocopie, scrivo libri, inseguo i creditori e tengo conferenze. Mi sveglio tra le cinque e le venti volte al mese in un letto non mio. E se è un albergo l’ho prenotato io, come il Frecciarossa e tutto il resto. Faccio tutto da sola. Sono indipendente. Indipendente da tutto. Ed è vero: l’indipendenza genera dipendenza”.