In tutte le crisi c’è nascosta una fortuna. La fortuna di “Camminare insieme“, onlus di Torre Spaccata, periferia est di Roma, è la concessione della residenza anagrafica a chi non ha una dimora fissa: a pagamento, per un servizio che invece dovrebbe essere gratuito. Non facendo poi alcun controllo su chi bussa alla porta, si offre un riparo a chiunque voglia rendersi irreperibile: basta che racconti una storia convincente.
In Italia la residenza, prima ancora che un diritto, è una necessità. Non concederla, spiega l’avvovato Antonio Mumolo, presidente dell’associazione “Avvocato di strada“, “significherebbe negare una serie di diritti costituzionali come il voto o la salute, ma la residenza è indispensabile anche per riscuotere una pensione Inps, per aprire una partita Iva o per iscriversi alle graduatorie per gli alloggi popolari“. Tutti servizi fondamentali soprattutto per le persone in difficoltà. Per capire come una piccola onlus di periferia sia diventata un municipio quasi autonomo occorre fare un passo indietro di qualche anno.
Di prassi, ai senzatetto che richiedevano un documento veniva assegnato un indirizzo fittizio come “via della casa comunale”. Nel 2002, il sindaco di Roma Walter Veltroni pensò che quelle parole equivalessero a un marchio di infamia, e per questo creò via Modesta Valenti, un altro indirizzo fittizio in memoria di una clochard morta negli anni Ottanta alla stazione Termini perché un’ambulanza si rifiutò di soccorrerla. Con la stessa delibera, la n. 84/2002, la giunta Veltroni autorizzava 15 associazioni della città a “facilitare l’ottenimento della residenza anagrafica per le persone senza fissa dimora” presso una delle municipalità in cui è suddivisa Roma. Farsi pagare per questa pratica, chiarisce l’avvocato Mumolo, non è la prassi “ed è assolutamente illegale”.
Basta una sceneggiata. Eppure è proprio quello che succede a “Camminare insieme”. Certo, il presidente Vincenzo Fiermonte – in carica ininterrottamente dal 1995 – non la mette così: per prendere la residenza “bisogna diventare membro dell’associazione, e la tessera ha un costo di 50 euro” (in una prima intervista però aveva dichiarato che il costo era di 70, e tutti gli intervistati confermano che sia quella la quota richiesta).
Un giro nemmeno troppo sofisticato che, stando al “tesseramento” dichiarato da Fiermonte, porterebbe in cassa un bel gruzzolo: considerato che i residenti sono più di 11mila (duemila gli italiani) e che la tessera va rinnovata ogni primo gennaio, significherebbe un’entrata di almeno 770mila euro l’anno. Davanti a questa cifra, Fiermonte si schermisce: “Fanno tutti presto a fare i conti e a pensare che io sia ricco, ma non è così, perché non pagano tutti. Per le persone bisognose – dichiara- la tessera è gratuita. Noi chiediamo un’offerta a chi se lo può permettere”.
Ma la valutazione su chi sia esente e chi no è a dir poco arbitraria. Mentre per le residenze nella fittizia via Modesta Valenti il Comune accetta richieste solo da chi è seguito dai servizi sociali, a Camminare Insieme tutto è a discrezione di Fiermonte e dei suoi quattro dipendenti. “Dipende dalla storia che ci raccontano. Se uno ci dice che non lavora noi gli crediamo sulla parola”. Non viene richiesta nemmeno un’autocertificazione del reddito. In sostanza, recitando una scena un po’ pietosa anche chi possiede tre case e un 740 di tutto rispetto potrebbe usufruire di un servizio inizialmente creato per i clochard, ottenendo una residenza fittizia (Camminare Insieme non è un dormitorio) dove ricevere la posta. Per chi non è bravo a mentire, invece, bastano settanta euro.
Del resto, si difende Fiermonte, “in qualunque associazione, quando ci si iscrive, si paga una quota”. Per accertarci che chiedere un compenso per un servizio mirato ai più indigenti sia davvero normale, chiediamo alla più nota di queste organizzazioni, la Caritas, se anche loro chiedono “un’offerta volontaria” per dare la residenza. “Assolutamente no”, risponde indignata la responsabile, che prima di riattaccare aggiunge: “Immagino il perché di questa domanda, ma non voglio dire una parola di più”.
Tesseramento mascherato. A dire il vero, nei rendiconti finanziari di Camminare Insieme, alla voce “quote associative” ci soltanto 600 euro. “Quelle sono le quote, obbligatorie, dei soci effettivi, i volontari che lavorano per noi”, dice Fiermonte. I soldi che chiede per la residenza invece, figurano come “erogazioni liberali da privati”, e sono 106mila euro nel 2010, 151mila nel 2011. A settanta euro l’una, significherebbe che ha pagato la tessera poco meno del 20% dei residenti.
E’ davvero solo un’offerta volontaria allora? Non proprio. Una ex dipendente dell’associazione, che negli anni passati si occupava proprio delle residenze e chiede di restare anonima, fa un quadro ben diverso della situazione. “Semmai è al contrario, il 20% sono quelli che non pagano” dice a ilfattoquotidiano.it. Pagano praticamente tutti, e di volontario c’è ben poco: “A chi non ha 70 euro viene chiesto di portare i soldi un poco alla volta: cinque euro oggi, cinque la prossima volta”.
Allo sportello di “Camminare insieme”. Per duecentocinquanta euro al mese, ogni mattina faceva i colloqui per le nuove residenze. Era l’unica, racconta, a parlare anche un’ora con ogni persona, per valutare la sua situazione e capire come aiutarla. Il suo zelo però, è stato tutt’altro che apprezzato: è stata licenziata. “Un’altra ragazza che lavorava lì mi diceva che perdevo troppo tempo. Il problema è che a tante persone che potevano pagare i settanta euro ho detto di no – racconta – perché per me era molto chiaro cosa stavano facendo lì, stavano cercando di evadere da qualche cosa. Per capirci, se hai la casa a Formello, per me non sei un senzatetto”. Quelli a cui invece non faceva pagare – immigrati senza lavoro, persone senza casa che tiravano avanti con lavoretti saltuari – per Fiermonte erano troppi. “Io facevo il mio lavoro di assistente sociale, non ero una macchina che produceva residenze, e soldi”.
La conferma di quanto poco “liberale” sia questo contributo viene anche da alcuni stranieri del Bangladesh intervistati davanti all’associazione. Sono arrivati tutti grazie al passaparola, e hanno pagato tutti settanta euro, indipendentemente dalla propria situazione economica. “Mi hanno detto: se paghi, arrivano le lettere e tutto è regolare. Se non paghi, basta”.
Nel cortile dell’associazione, ospitata nell’ex battistero di una parrocchia restaurato con i fondi del Giubileo, ci sono una trentina di persone che con un numeretto in mano aspettano il proprio turno. Ogni dieci minuti si apre una porta e una voce chiama “il prossimo”. Quasi come alle Poste.
“All’ufficiale giudiziario non diamo il domicilio”. L’associazione, in effetti, funziona come un piccolo ufficio postale. Essendo l’indirizzo ufficiale di 11.636 persone, ogni anno riceve 50mila fra lettere e plichi. E non si tratta solo di corrispondenza personale: cartelle esattoriali, multe, lettere di Equitalia (“Eh, quante ce ne abbiamo, di Equitalia!” sospira Fiermonte). Al momento dell’iscrizione, a tutte queste persone viene chiesta solo una reperibilità, cioè “che rispondano al telefono e ci dicano dove dormono”. Anche quello è sulla fiducia: nessuno verificherà mai quell’indirizzo.
Salvo casi particolari. “Se viene la polizia o la Guardia di finanza a cercare qualcuno, noi diciamo dove ci ha detto che abita”. Massima collaborazione, assicura, ma con qualche distinguo: “All’ufficiale giudiziario no, non glieli diamo gli indirizzi”. In teoria quindi, prendendo la residenza lì si potrebbe parcheggiare in divieto di sosta tutta la vita: anche se le multe raggiungessero una cifra astronomica, sarebbe impossibile pignorare alcunché.
Qualcosa di simile è già accaduto, con un senzatetto che faceva da inconsapevole prestanome. “Ho dovuto cancellarlo”, racconta Fiermonte, perché “con un bicchiere di vino gli avevano fatto firmare qualche carta e aveva 700 macchine intestate. Arriva l’ufficiale giudiziario e mi dice: e che devo sequestrare io?”
Un intero paese invisibile. Del resto, che le residenze fittizie siano sfruttate da chi non è indigente e ha solo interesse a rendersi irreperibile, non è una novità. Dalle cronache degli ultimi anni, tra i residenti di via Modesta Valenti sono spuntati prestanome, corrieri della droga e ambulanti abusivi. Nel 2008 Fabrizio Cicchitto e Italo Bocchino segnalarono queste anomalie in un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Maroni. Più dei possibili evasori fiscali, però, a preoccuparli era l’eventualità che il servizio fosse usato dagli stranieri come una scorciatoia per ottenere la cittadinanza. Allora, riportarono i due parlamentari, i residenti in via Modesta Valenti erano più di 15mila. “Camminare insieme”, ne ha, da sola, 11.636. Come un paese di provincia, completamente invisibile.