Quattordicimila miliardi di dollari, ovvero circa un anno di Pil americano. E’ quanto è costata fino ad ora la crisi finanziaria negli Stati Uniti, secondo uno studio pubblicato da alcuni economisti della Federal Reserve di Dallas. La ricerca è stata diffusa negli stessi giorni in cui le principali banche americane pubblicavano i conti del secondo trimestre dell’anno, mostrando una notevole ripresa degli utili grazie ai licenziamenti fatti scattare per risanare i bilanci. E mentre i lobbisti di Wall Street continuano a fare pressione su Washington contro la regolamentazione della finanza, spiegando che nuove riforme rallenterebbero la ripresa dell’economia.
Ma sulle aziende e sulle famiglie americane, come conferma lo studio della Fed, continua a pesare la crisi finanziaria, legata proprio alla bolla dei mutui concessi dalle banche senza garanzie reali, i cosiddetti subprime. “Questa ripresa è stata molto più lenta di qualsiasi altra ripresa dalla Seconda guerra mondiale”, spiegano gli economisti, sottolineando che l’aspetto peggiore è che la recessione nasce da una enorme bolla del credito, che rischia di danneggiare l’economia anche in futuro. Gli esperti stimano quindi che il costo della crisi “supera probabilmente il Pil di un intero anno”, ma “ci sono altri effetti collaterali che sono impossibili da quantificare, come i costi potenziali delle manovre espansive adottate dalla Fed per ravvivare l’economia e la perdita di fiducia nel capitalismo, nei funzionari pubblici e nel salvataggio delle grandi banche”.
E le conseguenze della crisi sono ancora evidenti sull’occupazione. La conferma è arrivata nei giorni scorsi, con i dati di luglio sul lavoro. L’economia americana ha creato 162mila nuovi posti, con un tasso di disoccupazione pari al 7,4%, il minimo degli ultimi 4 anni, deludendo gli analisti che prevedevano un aumento di 185mila unità. Tira invece un’altra aria a Wall Street, dove le ultime trimestrali confermano la ripresa del settore. La performance migliore è stata di Bank of America, che ha aumentato gli utili del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, seguita da Morgan Stanley con il 66%, Goldman Sachs con il 50%, Citigroup con il 41%, Jp Morgan con il 32% e Wells Fargo con il 20%.
Il problema, sottolineano gli analisti, è che al rialzo dei profitti non corrisponde un simile aumento dei ricavi, cresciuti soltanto del 3% per Bank of America, del 22% per Morgan Stanley, del 30% per Goldman Sachs, dell’8% per Citigroup, del 14% per Jp Morgan e dell’1% per Wells Fargo. Utili così brillanti sono quindi dovuti ad altri fattori, come il rialzo dei tassi di interesse, che ha permesso alle banche di trattenere delle percentuali maggiori dai prestiti. Ma la ripresa dei conti non sarebbe stata possibile senza i maxi piani di licenziamenti adottati dagli istituti per tagliare i costi. Bank of America ha mandato a casa 18.300 persone solo nel 2013, circa il 7% della forza lavoro. Mentre Jp Morgan ha annunciato all’inizio dell’anno di esser pronta a tagliare 19mila posti entro il 2014 e anche Goldman Sachs ha fatto scattare una nuova ondata di tagli al personale.