Bloccare l’attività del governo americano per costringere Obama a modificare la sua riforma sanitaria. E’ dal 2010 che i repubblicani si battono disperatamente contro l’Obamacare, che entrerà in vigore a pieno regime a partire dal prossimo ottobre. Sembrava che la sconfitta di Mitt Romney alle presidenziali 2012, e il fatto che la riforma fosse ormai diventata “legge dello Stato”, avessero consegnato la rabbia repubblicana al passato. Non è così. Washington è travolta da polemiche e discussioni sull’ultima trovata del senatore repubblicano Ted Cruz, appoggiato da una serie di influenti compagni di partito: costringere la macchina del governo Usa a chiudere, se Obama non farà concessioni.
Ted Cruz, un senatore portato a Washington con i voti del Tea party e inviso alla stessa leadership del suo partito per una strategia politica particolarmente spericolata, ha infatti proposto che i repubblicani non votino qualsiasi richiesta di budget presentata dall’amministrazione, nel caso questa contenga capitoli di spesa a favore della riforma sanitaria di Obama. Per bloccare le richieste di spesa, ha spiegato Cruz, è necessario che 41 repubblicani del Senato si impegnino a fare ostruzionismo e che 218 repubblicani della Camera votino no. Secondo Cruz, sostenuto in questo da rappresentanti di primo piano del Grand old party (Gop) come Rand Paul e Marco Rubio, la “chiusura” per mancanza di fondi del governo Usa non sarebbe per forza una cosa negativa. Lo shutdown del 1995, spiega, condusse a una seria riforma fiscale e non fece perdere voti ai repubblicani.
La proposta di Cruz è significativa e dimostra come il partito sia ormai nel pieno della campagna elettorale per le elezioni di medio termine del 2014, e soprattutto per le presidenziali 2016. Obama aveva già, agli occhi di molti big repubblicani, una serie di gatte da pelare particolarmente difficili da gestire – in primo luogo la situazione dell’occupazione ancora stagnante e le disastrose ripercussioni internazionali del caso Snowden – e non c’era alcun bisogno di scatenarsi in ulteriori attacchi. I democratici, era il ragionamento dello speaker della Camera John Boehner, di John McCain e degli altri maggiorenti del Gop, erano pronti a implodere da soli, con l’ala progressista del partito di Obama che rimprovera al suo presidente un’azione di governo particolarmente debole.
Ted Cruz ha invece scelto di andare alla carica, provocando un ricompattamento dei democratici proprio sulla riforma sanitaria del presidente. La proposta di Cruz è stata, in queste ore, pesantemente criticata da molti tra i suoi compagni di partito. Paul Ryan, ex-candidato alla vice-presidenza con Romney e probabile candidato alla presidenza nel 2016, ha spiegato che “ci sono molti altri modi per opporsi alla riforma sanitaria di Obama” e che lo shutdown del governo Usa non funzionerebbe. Perché lo shutdown del governo non funzionerebbe l’ha spiegato un altro influente senatore repubblicano, Tom Coburn dell’Oklahoma. Gran parte dell“Affordable care act”, la riforma di Obama, si basa infatti su un flusso di finanziamenti che non sono in alcun modo soggetti all’autorizzazione parlamentare, ma che giungono automaticamente nelle casse delle varie agenzie del governo Usa. Altri big repubblicani hanno poi fatto notare che forse vale la pena di lasciar cadere, almeno per il momento, la questione. Tutti i sondaggi mostrano che la maggioranza degli americani ha ormai accettato l’idea, e la realtà, dell’Obamacare.
Il fatto è che Cruz e altri esponenti del suo partito, soprattutto l’ala più conservatrice e vicina al Tea party, non si pongono in questo momento un problema di “realtà”, quanto piuttosto di tenuta elettorale. Ancora la settimana scorsa i repubblicani della Camera, quelli più vicini alle istanze massimaliste, hanno votato per la 40esima volta contro l’Obamacare. I tentativi di ribaltare la legge non hanno ovviamente alcuna possibilità di passare (i democratici controllano Senato e Casa Bianca), ma sono piuttosto il modo in cui i politici del Gop si rivolgono al proprio elettorato e lo mobilitano in vista delle legislative del 2014. Il sistema elettorale americano affida ampi poteri e capacità di influenza a iscritti e militanti dei partiti. Vince le primarie il candidato più capace di parlare alla propria base, ai suoi umori e orientamenti, a prescindere dalla possibilità che certe iniziative politiche e parlamentari hanno di passare. Ted Cruz, Marco Rubio e tutti gli altri stanno in questo momento, dunque, parlando alla propria base. La riscaldano e la blandiscono in vista delle prossime prove elettorali. La cosa preoccupa, e non poco, i settori del partito più moderati e vicini all’establishment. Come dimostrano le ultime elezioni presidenziali, 2008 e 2012, i candidati repubblicani schiacciati a destra rinsaldano il proprio elettorato ma non convincono la maggioranza degli americani. Il “tanto peggio tanto meglio”, in questo caso, rischia di pagare a fini di retorica politica, ma non di risultati.