Rendiconti archiviati e inchiesta chiusa. Termina così l’indagine della Corte dei conti sulle spese “irregolari” dei gruppi consiliari della Regione Emilia Romagna, con un passo indietro da parte dei magistrati contabili e la vittoria di viale Aldo Moro. A sancirlo è una delibera, la 261/2013, che di fatto, e nonostante le “irregolarità e le carenze” rilevate proprio dalla Corte dei conti regionale nelle spese relative al 2012 di tutti e nove i partiti eletti in Regione – dal Pd al Pdl, dalla Lega Nord, all’Udc, a Sinistra Ecologia e Libertà, al Movimento 5 Stelle -, autorizza l’ufficio di presidenza, guidato da Palma Costi, ad archiviare i rendiconti dei gruppi consiliari. E a scrivere la parola ‘fine’ su quel procedimento aperto il 12 giugno scorso, quando i magistrati contabili avevano inviato a tutti i partiti eletti, nessuno escluso, nove elenchi fitti di spese ritenute “non conformi alla normativa vigente”: 1,8 milioni di euro, soldi pubblici, pagati per pranzi, cene, convegni, manifestazioni politiche, viaggi. Tutti da giustificare. Al Partito Democratico erano stati contestati 673.000 euro, al Pdl 390.000, 193.000 alla Lega Nord, 147.000 all’Italia dei Valori, 126.000 per Sinistra Ecologia e Libertà, 98.000 per il Gruppo Misto, 90.000 per Federazione della sinistra, 87.000 al Movimento 5 Stelle e 48.000 all’Udc.
Ora quegli elenchi saranno archiviati, e non sarà più necessario “inviare ulteriori giustificativi”. “La delibera della Corte dei conti – fa sapere la Regione – chiude definitivamente un percorso iniziato a giugno tra la presidenza nazionale della magistratura contabile e le regioni, e riconosce a queste ultime la legittimità dei dubbi sollevati in seguito alle indagini. La sezione regionale aveva infatti applicato l’articolo 1 del decreto legge 174 del 2012, trasformato poi nella legge 213 del 2012, anche ai rendiconti del 2012, quando invece la normativa stabilisce che i controlli possano essere effettuati solo a partire dal 2013. Pertanto dopo una serie di incontri tecnici e politici, si è giunti alla conclusione della vicenda”.
Alle contestazioni della Corte dei Conti regionale, effettuate in seguito a un’indagine sulle spese dei gruppi nel 2012 condotta dai magistrati contabili tra il 10 maggio e il 12 giugno scorso, i partiti di viale Aldo Moro, del resto, si erano sin da subito opposti: a luglio i capigruppo avevano inviato una lettera direttamente alla presidenza nazionale della Corte dei Conti per chiedere “una sospensiva dei termini” indicati nella delibera del 12 giugno. Una proroga, insomma, per trasmettere scontrini e fatture utili a dimostrare come quelle uscite fossero direttamente collegate “con l’attività del gruppo o con quella dei consiglieri facenti parte di ciascun gruppo assembleare”, e “non riconducibili ad un’attività politica del partito di riferimento”. “Il problema – spiegavano dalla Regione – è che prima della normativa Monti a decidere quali spese erano a norma era l’Ufficio di presidenza”, che nel 2012 era guidato dal deputato renziano Matteo Richetti. “Le regole, quindi, erano diverse da quelle in vigore oggi: per esempio rientravano tra le voci rimborsabili le spese di rappresentanza, o i gadget che si acquistavano durante le festività per i dipendenti. Tutte voci di spesa che oggi sono praticamente state abolite dalla legge ‘salva Italia’”.
La speranza era che i magistrati di Roma ridefinissero i criteri che hanno portato la sezione regionale a individuare tante irregolarità. Speranza confermata dall’ultimo pronunciamento dei giudici contabili, che il 1 agosto, nonostante in più di una occasione avessero ribadito la piena legittimità dell’inchiesta, “la delibera – aveva sottolineato la Corte dei Conti – stabilisce che il controllo attribuito alle sezioni regionali della Corte dei conti trova immediata applicazione”, quindi “le sezioni stesse debbono svolgere la propria attività con riferimento al primo rendiconto redatto dopo l’introduzione del decreto legge 174 del 2012”, ossia “quello relativo all’esercizio finanziario 2012”, hanno accolto le obiezioni sollevate da viale Aldo Moro. E in particolare dal presidente della Giunta Vasco Errani, che aveva dichiarato illegittima, anzi, “un’oggettiva disapplicazione della legge regionale” l’intera inchiesta.
L’anno scorso, avevano dichiarato Errani e Costi, per stabilire la rimborsabilità delle spese si faceva riferimento “alla legge regionale 32/97”, normativa che prevedeva disposizioni diverse da quelle inserite nella legge introdotta dal governo Monti, e che erano stabilite dall’Ufficio di presidenza dell’Assemblea legislativa. “E’ evidente dunque – avevano sottolineato – che il nuovo regime dei controlli debba attuarsi a partire dal 2013”.
Il 30 luglio scorso, quindi, Costi ha inoltrato le medesime osservazioni alla Corte dei Conti regionale, che le ha accolte, rimettendo alla Regione la facoltà di stabilire la regolarità delle spese e di archiviare i rendiconti, ed escludendo quindi l’obbligo, per i gruppi, di inviare ulteriori scontrini e fatture a giustificare le spese contestate. “La delibera 249 – scrivono i magistrati contabili – ha valore ricognitivo”, pertanto “ove ne sussistano i presupposti, in ordine alla regolarità dei rendiconti dei gruppi assembleari della Regione Emilia Romagna per l’esercizio 2012, l’ufficio di presidenza provvederà nei termini di legge”.