Le cose nella vita cambiano, lo so.
Detto questo, pur essendo io uno che vive di cambiamenti, sotto un certo aspetto li odio. Non sono quasi mai all’altezza dei desideri (in quel “quasi” c’è il motivo per il quale, alcuni di noi, andranno fino in fondo col bluff per vedere quali carte ha in mano la vita).
Eppure, vedo attorno a me un sacco di persone eccitate dal futuro, dagli spostamenti, dal progresso, dall’idea di “cambiare” (la vita, la politica, la macchina, la moglie… mai però loro stessi).
Ma forse ho capito cosa li eccita in questo frenetico immobilismo e nello sfinente sfaccendare mal retribuito che scambiano per lavoro; così facendo non riescono mai a fissare un punto preciso della loro esistenza. A osservare le cose mettendole a fuoco.
Non hanno mai il tempo, come diceva un poeta britannico “to stand and stare” (no, non andrò a verificare nei libri del liceo chi è, forse il gallese Davies…).
In estate, implacabilmente, quel tempo di fermarsi e osservare c’è; posso sbagliare ma quel che vedo è quanto segue.
Vivo in una nazione nella quale c’è un politico, neo pregiudicato, leader di un partito che – se ho ben capito – spedisce alcuni suoi parlamentari da Napolitano a contrattare un trattamento “particolare” – o di clemenza – per il suo stesso leader.
Vivo in una nazione nella quale milioni di persone (ognuno per motivi suoi, anche differenti, che non sta a me giudicare) hanno comunque votato quel politico (“prima che fosse pregiudicato” mi si potrebbe dire).
Vivo in una nazione nella quale – andrà loro ricordato – il fatto che oggi, quel politico che hanno votato, sia un pregiudicato è un dettaglio di mera natura penale che nulla aggiunge agli elementi che già si conoscevano di lui quando ci è stato chiesto, da elettori, di sceglierlo o scartarlo.
A me bastò la sua modalità di sorriso per rifiutarne la proposta politica, non furono i costumi sessuali o le ipotesi di reato. Applausi finti e risate finte nelle sue tv, furono più decisivi delle giovani accaldate che animavano le sue dimore, uscendone con della bigiotteria da sorpresa nelle patatine fritte.
Vivo in una nazione nella quale, ne sono certo, se quel neo pregiudicato si ricandidasse prenderebbe ancora più voti e chiamerebbe – a ragione, in senso grammaticale – tutto questo: “volontà popolare”.
Vivo in una nazione nella quale gli altri milioni di elettori che hanno votato PD (io non ho votato ma se lo avessi fatto, magari sarei fra questi) si ritrovano, a loro insaputa rispetto quando hanno manifestato quel voto, al governo con quel neo pregiudicato (il tutto dopo aver fatto secco Prodi nella corsa al colle).
Vivo in una nazione nella quale il Pd avrà il coraggio di richiedere il voto ai suoi elettori.
Vivo in una nazione nella quale alcuni parlamentari PD in dissenso si lamentano, muovono appunti o lanciano invettive contro tale comportamento del loro stesso partito.
Vivo in una nazione nella quale nessuno di questi dissenzienti, alla fine, prende atto del proprio dissentire ed esce da quello stesso partito cui impartisce la morale.
Vivo in una nazione nella quale è la natura stessa dei gesti di chi dissente a farti passare la voglia di dissentire.
Vivo in una nazione nella quale se si evoca l’orrore della guerra civile è solo per favorire o avversare uno specifico personaggio e mai per il rischio – grave – che milioni di giovani rapinati del loro stesso futuro e frotte di anziani trattati come carne in attesa di essere buttata, s’incazzino ed esigano in modi poco consoni se non giustizia, perlomeno dignità.
Vivo in una nazione nella quale nessuno, o pochi, hanno il coraggio di mettersi a muso duro contro la pelosa retorica e spiegare a quegli stessi giovani e anziani che se non imparano la lezione del Bartleby di Melville, quel suo formidabile “aver preferenza di no”, sono essi stessi complici di chi fa fottuto le loro esistenze e che lamentarsi di un proprio complice è quanto meno singolare.
E qualcuno spieghi loro come quel “aver preferenza di no” non significhi ripetere – ossessivamente – “no”, bensì aver chiara la forza dirompente che talvolta anche i “sì” possono avere.
Ma per dire di sì a qualcosa occorre che di fronte a noi ci sia, davvero, qualcosa.
Vedo in giro più gente dibattere e animarsi sulle crudità di pesce che sul futuro delle persone.
Nasceremo rivoluzionari e moriremo food blogger? Non ci sarebbe nulla di male, figurarsi, l’importante è che non ci costringano a scegliere; il cambiamento e le scaloppine non sono obiettivi alternativi, credo possano coesistere.
E allora, in definitiva, perché temo il futuro e i cambiamenti?
Perché con tutto il rispetto/fiducia dovuti alle figure istituzionali odierne, spesso tendiamo a calibrare i nostri desideri col tipo d’infanzia che abbiamo trascorso, e la mia io l’ho passata in una nazione nella quale, di tutto quello che ho appena scritto (del pregiudicato e della sua richiesta di trattamento “particolare”, dei giovani e degli anziani) ci sarebbe stato anche uno così a doversene occupare…
Stabilimenti Penali di Pianosa
23- febbraio -1933
A Sua Eccellenza il Presidente del Tribunale Speciale
La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo, quindi a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più d’ogni altra cosa, della mia stessa vita, mi preme.
Il recluso politico
SANDRO PERTINI