«L’accordo prevedeva che cantassi Weill e Brecht ma, sapete, io non sono una personcina obbediente, quindi stasera farò anche altro». Difficile immaginare una sintesi più eloquente dello stile e della verve di un’artista dopo questo sorridente ma perentorio incipit con cui Ute Lemper ha arringato in inglese il pubblico della Fenice intervenuto venerdì scorso alla serata inaugurale della Biennale Teatro 2013.

Giusto un sapido assaggio della personalità spiccata di un’interprete che non si lascia incasellare entro un pur nobile cliché autoriale e che, al di là di là del repertorio e delle atmosfere d’antan, e perfino delle codificate movenze da “sciantosa” di cabaret, conferma di essere innanzitutto ed essenzialmente una dotatissima musicista. Cantante, ballerina ed attrice con un impressionante background di collaborazioni illustri da Luciano Berio ai Pink Floyd (con i quali si esibì durante il mitico “The Wall”), da Nick Cave a Philip Glass che scrissero brani destinati alla sua voce, da Robert Altman a Peter Greenaway che la diressero al cinema, fino al Tanztheater di Pina Bausch, Ute Lemper ha fatto dell’eclettismo e della contaminazione dei generi la propria cifra distintiva.

Ed esattamente come la connazionale Bausch, che attraverso la danza ha inaugurato inedite fusioni tra arti figurative e linguaggi teatrali, anche la Lemper ha tentato di imprimere alla canzone il respiro scenico di una pièce, donde il motivo della sua convocazione in qualità di ospite d’onore di un festival imperniato appunto sul teatro. Ricomparsa dopo diversi lustri su quel medesimo palcoscenico veneziano che soltanto poche settimane prima aveva ospitato la superlativa performance di un Keith Jarrett in stato di grazia e insolito buonumore, la Lemper ha raccolto il testimone dell’improvvisazione proponendo, a partire da alcuni pezzi noti, variazioni canore ed armonie vocali di sua invenzione, alternate alla pratica jazzistica dello “scat”, ovvero all’imitazione del suono di strumenti musicali (soprattutto a fiato) riprodotti attraverso la voce umana. Alta, felina, elegante, insospettabile cinquantenne madre di quattro figli, acconciatura bionda alla Lauren Bacall e una vaga somiglianza con Marlene Dietrich ulteriormente accentuata dalle slanciatissime gambe stile “blaue Engel”, Ute Lemper, per quanto affabile e talvolta spassosamente incline allo humour, gioca ad evocare la tipica allure della diva d’altri tempi.

Inguainata in un abito da sera nero lungo e scintillante, in oltre due ore di spettacolo ha percorso in lungo e in largo il repertorio della canzone d’autore supportata dal pianoforte e dalla fisarmonica dei due musicisti che la accompagnavano dal vivo e armata soltanto del proprio microfono, nonché di un boa di piume rosse e di un cappello nero alla Charlot alternati a seconda dei momenti. Mutando toni, lingue, accenti e registri vocali, la Lemper riecheggia quei tempi lontani in cui la figura della “sciantosa” (trasposizione italiana del francese “chanteuse”) incarnava un genere artistico con tutti i crismi, e non, come purtroppo desolatamente avviene spesso oggi presso una larga maggioranza di cosiddette “showgirl“, il poco dignitoso rifugio di maggiorate inette. E durante la sua esibizione veneziana la Lemper è infatti passata con camaleontica disinvoltura da classici jazz come “I fall in love again” alla brechtiana “Bilbao song”, da “Ne me quitte pas” di Jacques Brel ad “Amarcord” di Nino Rota, da “Yo soy Maria” di Piazzolla alla celebre “Die Moritat von Mackie Messer” tratta dall’Opera da Tre Soldi, per poi concedere come “encore” la nostalgica “Avec le temps” di Leo Ferré.

Sorprendente e godibile la sua capacità di calarsi di volta in volta nei panni della Dietrich di “Ich bin die fesche Lola”, in quelli della Edith Piaf di “Milord” o della Liza Minnelli di “Cabaret”, restando sempre se stessa, senza pretendere cioè di ricalcare l’inimitabile piglio algido e aristocratico di una Marlene o l’anima popolare di una Piaf. E forse il segreto di Ute consiste proprio in questo: essere, pirandellianamente parlando, una, nessuna e centomila dive.

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