Oggi Bo Xilai, gran comunicatore che si è guadagnato il consenso popolare attraverso il concetto di “prosperità collettiva”, è il centro di una intricata spy story cominciata a febbraio 2011 con la fuga del suo braccio destro in un consolato americano. Da marzo di quell’anno non è più apparso in pubblico ed è stato gradualmente estromesso da tutte le sue cariche fino a essere ufficialmente espulso dal Partito e affidato ai tribunali comuni. Una decina di giorni fa è stato ufficialmente accusato di corruzione, tangenti e abuso di potere per somme superiori a 3 milioni di euro. Da adesso in poi, il suo processo potrà svolgersi in qualsiasi momento.
Sua moglie, l’avvocato Gu Kailai, è stata condannata un anno fa alla pena di morte sospesa (ovvero l’ergastolo) per l’assassinio di Neil Heywood, un cittadino britannico che viveva in Cina da vent’anni e frequentava la famiglia Bo. Un crimine le cui prove e i cui moventi restano per lo più avvolti da una nube di mistero ma che potrebbe ricollegarsi alla villa in Costa Azzurra. Secondo alcuni documenti societari francesi rinvenuti dai giornalisti del Wall Street Journal il signor Heywood sarebbe una delle tre persone che gestivano la residenza di lusso per conto dei Bo. La villa porta nuovamente alla ribalta uno dei temi politicamente più esplosivi: la ricchezza nascosta e lo stile di vita sontuoso dell’élite cinese. Ma in uno Stato che si definisce una repubblica popolare ma è di fatto una vera e propria cleptocrazia – secondo fonti ufficiali ci sono 80-90mila casi di corruzione conclamata all’anno e almeno 18mila funzionari scappati all’estero trasferendo illegalmente quasi cento miliardi di euro (l’1,4 per cento del pil annuale) – non può essere questo il punto dell’accanimento politico e mediatico.
L’amministrazione Bo della megalopoli di Chongqing era stata a lungo considerata un modello possibile di sviluppo per l’intera Cina e aveva ricevuto un largo consenso. Era una politica che favoriva alloggi popolari, politiche sociali e lotta alla mafia condita da sms ai cittadini con citazioni dal libretto rosso e canzonette nostalgiche del periodo maoista in filodiffusione per le piazze della città. Bo Xilai, come si è scoperto dopo, non era certo un santo. Ma sembrava destinato ad ascendere alle più alte cariche dello Stato.
Non è andata così. In un avvicendarsi di scandali che hanno contraddistinto uno dei ricambi ai vertici tra i più tumultuosi che l’ex Impero di mezzo ricordi, Bo Xilai passerà alla storia per essere il terzo membro del Politburo ad essere processato negli ultimi vent’anni. Si dice che il suo processo sia la dimostrazione che anche in Cina la legge è uguale per tutti. Che dire allora dell’ex premier Wen Jiabao che, come documentato dal New York Times, durante i dieci anni in cui è stato al governo ha accumulato una fortuna di oltre 2 miliardi di euro? Nella mente di molti cinesi, Bo Xilai da criminale si sta trasformando in martire.
Il Fatto Quotidiano, 9 Agosto 2013