La legge sull’abolizione del finanziamento ai partiti era da approvare subito e “senza fare passi indietro”, aveva twittato il presidente del Consiglio Enrico Letta, ma se ne riparlerà a settembre. L’aumento di un punto dell’Iva sembrava una priorità per non deprimere i consumi e invece la questione è stata rinviata di tre mesi (ma è solo una sospensione e la decisione non è definitiva). La legge sull’omofobia sembrava ogni giorno più urgente, ma anche questa discussione è stata rimandata alla ripresa dei lavori d’Aula (se va bene). Della riforma della legge elettorale ne parlano tutti (Quirinale compreso) ormai da anni, ma – a prescindere dall’iter d’urgenza – l’avvio del percorso parlamentare è stato solo incardinato e si tornerà sul tema in autunno. E poi c’è l’Imu, l’imposta da molta ritenuta la vera mina sotto al tavolo del governo delle larghe intese: Silvio Berlusconi ha ribadito che vuole l’abolizione totale, il Pd e il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni dicono che non si può andare (che sia per motivi politici o di tenuta dei conti). Al governo giurano che si deciderà entro il 31 agosto e intanto non si è deciso niente.
“Non ci sono rinvii in senso vero, nulla è stato rinviato” assicura la vicepresidente dei deputati del Pd, Paola De Micheli, lettiana della prima ora. Quelli che all’apparenza possono sembrare temporeggiamenti, riflette, sono slittamenti dettati da scalette di priorità combinate all’ostruzionismo delle opposizioni. “Ci siamo ritrovati – prosegue – con un meccanismo ostruzionistico nuovo e, oserei dire, impolitico, non sui provvedimenti in discussione, ma un ostruzionismo ex ante per far slittare attraverso tutti gli strumenti concessi dal regolamento, quello che verrà discusso dopo”. “Le priorità – aggiunge – ce l’hanno i decreti” e “dobbiamo convertirli tutti”. Le priorità ce l’hanno i decreti e infatti disegni di legge e misure economiche sono ancora lì ad aspettare.
Finanziamento ai partiti
“Non faremo passi indietro sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Il ddl che abbiamo presentato è una buona riforma. Perché bloccarlo?”, twittava il 23 luglio il presidente del Consiglio Enrico Letta. Il 7 agosto, la conferenza dei capigruppo della Camera, ha deciso che l’esame dell’aula di Montecitorio sul testo della legge sul finanziamento pubblico ai partiti comincerà il 10 settembre, dopo le riforme costituzionali. Un rinvio definito un “autogol” da Matteo Renzi. “A maggio c’era un titolo di giornale in prima pagina che recitava ‘Letta mette a dieta i partiti’ – dichiara il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S) – Si riferiva al disegno di legge per l’abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti. Bene: non solo quel disegno non è mai stato votato, ma addirittura è stato rinviato ancora una volta, nonostante l’avremmo dovuta votare venerdì. Questa maggioranza è la ‘scuola politica del rinvio’: come fregare i cittadini con annunci e proclami”.
Imu
L’abolizione dell’Imu sulla prima casa sembrava una delle urgenze economiche (e politiche) del governo con il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, a ricordare costantemente a Letta che senza il taglio dell’imposta il partito del Cavaliere avrebbe staccato la spina. “A settembre non si pagherà più l’Imu sulla prima casa. Se ci sarà invece un compromesso con il Pd, vorrà dire che verrà abolita per l’80-90 per cento. E’ da masochisti pensare che l’Imu sulla prima casa non verrà abolita” spiegava Brunetta, ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta il 16 maggio. “Faceva parte degli accordi di governo, era un punto dirimente su cui è nato il governo Letta”, aggiungeva, precisando che sulla revisione della tassazione sugli immobili non è possibile fare passi indietro, “il termine ultimo è agosto, altrimenti cade l’esecutivo”. Negli ultimi giorni, Brunetta è tornato ad alzare la voce lamentando l’assenza di proposte sulla questione da parte del ministro dell’Economia Saccomanni. Il titolare del Tesoro ha replicato spiegando che un’abolizione totale dell’imposta “avrebbe un effetto regressivo” e pubblicando sul sito del ministero le ipotesi allo studio del suo dicastero per la riforma dell’Imu. Nemmeno la voce grossa di Berlusconi arriva a definire meglio la questione: “Troveremo un equilibrio entro fine agosto” dicono dal governo.
Iva
Sull’Iva il protagonista del balletto del “non si può fare, anzi sì si può” è stato invece il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato che il 12 giugno, è andato incontro ai fischi dell’assemblea annuale di Confcommercio: “Mi piacerebbe dire che non aumenteremo l’Iva ma non lo posso fare – aveva detto – Si tratta di una decisione che è stata presa, anche se la volontà resta ed è forte. La decisione è stata presa non dal mio governo, e l’incremento di gettito è già nel bilancio dello Stato”. Il giorno dopo, nel corso della registrazione di una puntata di Porta a Porta, ribadiva che “in questo momento soldi per evitare l’aumento dell’Iva nel bilancio dello Stato non ce ne sono”. Dopo essere stato attaccato anche a male parole da parte del Pdl il ministro ha cambiato tono. Fino a ribaltare completamente il concetto nel giro di 15 giorni: una metamorfosi che lo porta a dire, infine, di bloccare gli aumenti dell’Iva per tutto il 2014.
Nell’attesa si è rinviato di tre mesi. Finora le risorse scovate da Saccomanni sono state sufficienti a scongiurare il rialzo dell’aliquota del 21% al 22%, previsto a partire dallo scorso primo luglio. Ora la nuova deadline è fissata per il primo ottobre e all’appello manca qualche manciata di miliardi di euro per scongiurare l’aumento fino a fine anno. Anche su questo fronte il governo ha ribadito che comunque entro la fine di agosto una soluzione sarà trovata.
Legge elettorale e riforme istituzionali
Mandare in soffitta il Porcellum era il nodo politico più importante da affrontare subito per recuperare il rapporto con gli elettori. Non è facile per una maggioranza composita individuare la via maestra. In un primo momento si era deciso di affrontarla nell’ambito del pacchetto delle riforme istituzionali (come ancora vorrebbe il Pdl) sulle quali in parallelo alle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato erano stati “precettati” 40 saggi. Il 31 luglio, il cambio di rotta: la conferenza dei capigruppo ha approvato all’unanimità la dichiarazione di urgenza in base alla quale il testo resterà in commissione al massimo per un mese e approderà a settembre alla Camera e sarà votata entro i primi di ottobre. “Ottima la procedura d’urgenza decisa alla Camera per la legge elettorale. Ora ognuno dovrà assumersi le sue responsabilità. Io sono ‘No Porcellum’”, ha twittato il premier Letta. Qualche malessere si è avvertito nella sponda opposta della maggioranza: “Il fatto che il Pd chieda la procedura d’urgenza per l’approvazione di una nuova legge elettorale – ha detto Fabrizio Cicchitto – vuol dire che ha una gran fretta a fronte dell’ipotesi fin ora affermata che il governo Letta duri i famosi 18 mesi. Poi la scelta del giorno per avanzare questa richiesta apre ulteriori interrogativi”. Rinvio dopo rinvio si avvicina il 3 dicembre, quando sulla “porcata” di Roberto Calderoli si pronuncerà la Corte Costituzionale.
L’incandidabilità di B e l’incandidabilità tout court
Per non saper né leggere né scrivere, visto che nel frattempo è stata rinviata anche la decisione sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, l’Aula del Senato ha negato anche la richiesta di esaminare con urgenza il disegno di legge d’iniziativa popolare per il “Parlamento pulito”, presentata dai Cinque Stelle, che dovrebbe regolare una volta per tutte incandidabilità e ineleggibilità. A favore hanno votato solo M5S e Sel. “La Casta ha fatto squadra e ha bocciato l’urgenza per la legge d’iniziativa popolare che attende da anni di essere esaminata dal Parlamento” ha commentato il senatore grillino Gianluca Castaldi.
Omofobia
Anche la legge sull’omofobia slitta a settembre. Uno slittamento che per un verso realizza temporaneamente quella “moratoria” sui temi eticamente sensibili chiesta tra gli altri dal ministro ciellino Maurizio Lupi, ma che non incontra ostilità neanche da parte delle componenti laiche del Pd, come di Sel, dal momento che consentirà di aggirare eventuali forme di ostruzionismo di marca confessionale. Infatti, in base al regolamento della Camera, quando trascorre più di un mese tra l’inizio della discussione generale e il voto, i tempi vengono contingentati. “Non si tratta di un rinvio dovuto a ragioni politiche, ma a semplici esigenze tecniche”, ha osservato in proposito il democratico Ivan Scalfarotto, primo firmatario di uno dei testi in esame e relatore della legge.
L’autunno caldo (in Parlamento)
C’era da fare presto: il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini aveva giustificato così la questione di fiducia posta dal governo sul decreto “del fare”, oggetto dell’ostruzionismo delle opposizioni (Movimento Cinque Stelle, Sel e Lega Nord). “Abbiamo un calendario molto complicato – aveva spiegato Franceschini – Sei decreti, le leggi europee, il disegno di legge di riforma costituzionale, le leggi sui partiti e l’omofobia, votare su 800 emendamenti non permette di rispettare tempi”. Di quel menù è rimasto solo qualcosa, anche se su temi importanti: lo sblocco dei pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese, il pacchetto da 1,5 miliardi per l’occupazione giovanile e il decreto con le nuove norme per il contrasto al femminicidio varato nell’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva. Ma nel calderone dei rinvii sono finiti anche il provvedimento sulla diffamazione a mezzo stampa, l’esame finale della legge sul voto di scambio al Senato e la Tares (la nuova imposta sull’immondizia) e addirittura il rinnovo dei consigli di presidenza di giustizia amministrativa, contabile e tributaria. Senza contare poi che entro la terza settimana di settembre il governo deve presentare alle Camere la cosiddetta “nota di aggiornamento” del Documento di economia e finanza, il testo in cui l’esecutivo mette nero su bianco lo stato dei conti e le sue previsioni: lì si capirà se serve una manovra o no. In più, secondo le norme del semestre europeo la legge di stabilità (quella che una volta si chiamava Finanziaria) va presentata al Parlamento non più tardi di metà ottobre.
Più che un autunno caldo in Parlamento ci si prepara così a un autunno ingolfato di provvedimenti, sui quali peraltro la maggioranza delle larghe intese rischia davvero di cedere (come la questione dell’Imu). Ammesso che poi non si decida di non decidere.