Lo dice l'economista Tito Boeri: "I 400 milioni liberati in settimana difficilmente avranno un impatto importante sulla ripresa". Intanto il settore va sempre più a picco come dimostrano i dati della finanza di progetto (-72% nel primo trimestre)
La pioggia di stanziamenti per le infrastrutture, attorno ai 400 milioni di euro, è stata decisa dal Cipe giovedì 8 agosto durante un consiglio dei ministri presieduto da Enrico Letta. Si tratta di provvedimenti attuativi e di risorse attribuite nell’ambito del Programma delle Infrastrutture strategiche, del Fondo sviluppo e coesione, del Fondo sanitario nazionale e degli interventi per gli eventi sismici del 2009 in Abruzzo. Roba vecchia e roba nuova messa assieme senza alcun criterio selettivo e soprattutto a prima vista con insufficienti criteri di trasparenza necessari alla gestione del denaro pubblico. Un gran balletto di cifre che tra l’altro, secondo molti osservatori, non sortirà nel breve periodo grandi effetti sull’annunciata fine della recessione, ma soltanto qualche fiore all’occhiello al dl del Fare e al governo Pd-Pdl.
Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, smentito per altro da gran parte delle istituzioni finanziarie internazionali, ci racconta ormai quasi ogni sera che in fondo al tunnel della crisi ci sarebbe una flebile luce, segno della fine della lunga recessione che si è abbattuta sul vecchio continente a partire dal 2008, l’anno terribile che passerà alla storia per il fallimento del colosso statunitense Lehman Brothers. Anche l’economista Tito Boeri ha parlato recentemente di deboli segnali positivi. Ma quando gli chiedi se quegli stanziamenti per le infrastrutture sortiranno qualche effetto benefico sull’economia italiana, dilaniata dalla disoccupazione, arriccia il naso: “Non credo francamente che sortirà grandi effetti sulla drammatica situazione dell’occupazione. I tempi delle infrastrutture sono talmente lunghi che non sarà possibile avere nell’immediato risultati utili a uscire dalla crisi. Le priorità sono ben altre: se vogliamo davvero cogliere i deboli segnali positivi che si intravvedono all’orizzonte dobbiamo pensare al problema del credito alle imprese. La situazione è drammatica e lo sarà ancora di più l’anno prossimo quando per le grandi banche la supervisione passerà alla Bce”.
Il quadro macroeconomico dunque non aiuta gli ottimisti dell’ultima ora. E se si dà un’occhiata alle cifre che arrivano da alcuni settori chiave dell’economia reale e finanziaria le tinte sono ancora più grigie. Torniamo alle infrastrutture. I dati a disposizione di luce propria ne hanno ben poca: secondo l’Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici gli investimenti pubblici nel 2012 sono crollati del 24% e se si spulciano i primi dati del trimestre 2013 le cose vanno ancora peggio, la percentuale con il segno meno arriva al 27 per cento. I numeri sono ancora più drammatici se si guarda al project financing, il meccanismo finanziario che dovrebbe essere l’acceleratore delle infrastrutture e delle opere pubbliche in generale. La finanza di progetto o project financing è un’operazione di finanziamento a lungo termine in cui il rientro del finanziamento è garantito dai flussi di cassa previsti dalla gestione dell’opera e a sua volta dal sistema bancario che finanzia parzialmente l’operazione attraverso anticipi di capitale. Nel 2012 il Project Financing ha subito un crollo del 37% ma ciò che maggiormente preoccupa gli operatori del settore è il dato del primo trimestre del 2013 che si è sostanzialmente raddoppiato toccando il – 72 per cento. Altro che flebile luce, dai primi dati dell’anno in corso il buio è davvero spaventoso.
Le cose stanno davvero così? Fabrizio Pagani, direttore del Project and Public Finance di Dexia Crediop, uno dei più importanti operatori del settore, non è affatto stupito dalle cifre che gli mettiamo sotto gli occhi: “Purtroppo sono dati reali. Ci troviamo in una durissima fase recessiva iniziata nel 2008 con il fallimento della Lehman Brothers. Nel 2010 sembrava che ci fosse una ripresa ma poi nel 2011 e per tutto il 2012 siamo tornati in recessione. E nel 2013 i dati non ci dicono nulla di buono”. Focalizzando i dati sulle opere pubbliche, la classifica degli istituti di credito più attivi per valore dal 1997 al primo semestre 2012 vede al primo posto Dexia Crediop (2.905,9 milioni) seguita da Intesa Sanpaolo (2.571,3 milioni) e UniCredit (1.560 milioni). Ritagliando l’analisi sull’ultimo anno di rilevazione, hanno concesso più finanziamenti per la realizzazione di opere pubbliche Intesa Sanpaolo (270 ) seguita da Centrobanca (203,8 milioni) e Mps Capital Services (90 milioni). Tra i lavori finanziati da Dexia Crediop in regime di Project Financing compaiono quattro nuovi ospedali in Toscana, 11 parchi fotovoltaici in Lazio e in Sicilia e il project financing relativo al piano di investimenti della Società strada dei Parchi, concessionaria della gestione dell’Autostrada A24-A25 (Roma-l’Aquila-Teramo-Pescara).
E’ vero, commenta ancora il manager di Dexia Crediop, che i volumi dei finanziamenti in project finance nel 2013 sono più che raddoppiati rispetto al 2011, passando da un miliardo a circa due miliardi e mezzo, ma la gran parte di questa crescita è dovuta a un solo progetto quello della Brebemi, (Brescia-Bergamo-Milano). Ad oggi, l’unica misura concreta assunta dal governo è relativa alla conferma della defiscalizzazione degli investimenti in project financing. Di provvedimenti volti a favorire la ripresa degli investimenti neanche l’ombra. Gli operatori del settore puntano il dito proprio sull’incapacità dei governi e sulle lentezze della burocratica macchina dello Stato, ostacolo principale all’operatività. Ma si dimenticano spesso che è stato il sistema bancario mondiale con l’immissione sul mercato di milioni di titoli tossici a provocare la crisi ancora in atto in Europa e in tutto l’occidente.
Non si può dire che le banche non abbiano una pesante responsabilità in questa recessione e nel mancato finanziamento delle opere pubbliche attraverso il project financing. Come lei ha ricordato tutto nasce dalla crisi del 2008 con i disastri combinati dalle grandi banche d’investimento statunitensi e inglesi. E come lei sa bene sono le banche ad avere il coltello dalla parte del manico con il finanziamento anticipato del project financing. Pagani non accetta la provocazione e scarica le responsabilità sul settore pubblico. “Le cause di questa situazione – risponde – sono molteplici: penso in primo luogo alla mancanza di programmazione, alle regole poco chiare e che cambiano in corsa togliendo riferimenti a chi deve investire, ai vincoli del patto di stabilità, e a Basilea 3 che ha imposto un altro regime di finanziamento alle banche, che non hanno abbandonato gli investimenti, ma non possono, come in passato finanziare, da sole progetti a lungo termine. Esistono già gli strumenti per sostenere la domanda di credito per investimenti: penso ai project bond ma anche ai fondi di debito, che permetterebbero ad altri finanziatori istituzionali (compagnie di assicurazione, fondi pensione, ecc.) di affiancare il sistema bancario. Quello che è necessario è di avere regole chiare e tempi certi, minore burocrazia e soprattutto, ripeto, è fondamentale una seria programmazione degli investimenti effettuata a livello centrale con opportune forme di assistenza alle stazioni appaltanti (perchè una struttura fondamentale come l’Unità Tecnica Finanza di Progetto è stata accantonata?)”.
Programmazione. Brutta parola, in uso negli anni ‘70 ai tempi dei boiardi di Stato e assai impopolare nell’Europa della Merkel. Quasi sinonimo di pianificazione sovietica. Forse è per questo che nei progranmmi di destra e di sinistra non si osa neanche pronunciarla. “Guardi che la programmazione non è affatto una brutta parola. Programmare significa creare le condizioni per far ripartire gli investimenti”.