Le cronache di questi giorni danno ampia conferma che ragionevolezza, pudore e senso del ridicolo sono un trio di personaggi della politica italiana ormai spariti di scena; tragico effetto della sua riduzione a un format da soap opera, cui tutto si chiede meno sceneggiature che stiano in piedi. Ne consegue – così – un susseguirsi caotico di personaggi e vicende improbabili, tra grida e pianti che ci ricordano la discendenza di tale spettacolo dalla sceneggiata partenopea; e – prima – dalla commedia dell’arte.

A Silvio Berlusconi non viene concesso un salvacondotto per poter continuare a fare esattamente come se la condanna in Cassazione non ci fosse stata? I suoi domestici parlamentari strepitano alla democrazia ferita a morte per compiacere il datore di lavoro (la pretesa che manipolare voti per vent’anni, grazie agli arsenali mediatici a disposizione, sarebbe garanzia di impunità). Ma intanto si domandano come ovviare alla probabile defaillance di quella macchina da campagna elettorale che è il loro capo.

La pensata stupefacente sarebbe quella di sostituirlo con la figlia Marina, che confermerebbe l’apporto dell’irrinunciabile artiglieria comunicativa. Sicché gli spudorati te la raccontano come l’epopea di una nuova dinastia. Figurarsi: i Berlusconi come i Kennedy, i Roosevelt… Quando di piglio dinastico – per ora – la ringhiosa figliola manifesta solo una certa propensione al bisturi del chirurgo estetico; la cui mano ha lasciato – nel suo caso – una firma indelebile sulle labbra gonfiate e poi rifatte con lo stampino; tanto da risultare indistinguibili da quelle di Nina Moric e Alba Parietti. Nella migliore tradizione ridicola del capo (o capa) di plastica per un partito plastificato.

Nel frattempo il ridicolo ha trovato modo di accasarsi con il sistematico calpestio del buon senso nelle elucubrazioni che continuano a venirci somministrate sulla sentenza della Cassazione, che mette a repentaglio un ventennale bengodi per i mantenuti della politica. Ieri il Secolo XIX pubblicava un’intervista sul tema a Francesco Nitto Palma; con tanto di foto a mezzapagina del presidente Pdl della commissione Giustizia del Senato, in cui spicca la sua faccetta stropicciata, tra il barbiere napoletano e il comprimario di una fiction sulla Camorra. Che dice l’autorevole personaggio, dopo essersela presa con il maldestro giudice Esposito (maldestro sì, e pure vanitoso; anche se poi le sue tanto criticate esternazioni si riducono ad affermare che “Berlusconi è stato condannato perché era giusto fosse condannato”)? Dice che l’Alta Corte europea per i diritti dell’uomo smentirà una sentenza basata sul principio che Berlusconi “non poteva non conoscere l’evasione truffaldina”. Quanto invece l’impudica insensatezza imperante tace, è che – di fatto – Berlusconi risulta il terminale beneficiario dei fondi neri costituiti con tale evasione. Visto che in tutti questi anni la sua ascesa si è basata sull’unzione di ruote grazie alla disponibilità illimitata del cosiddetto “black”; dai giudici del lodo Mondatori ai deputati voltagabbana ingaggiati per far cadere il governo Prodi, al fiume di paghette per ballerine di lap dance a domicilio (il suo). Insomma di “pistole fumanti” ce ne sono più che a sufficienza, a meno di non trincerarsi nell’irragionevolezza, nell’impudicizia e nello sprezzo del ridicolo; come quei parlamentari che certificarono con il loro voto la parentela tra Ruby e Mubarak. A meno che non si voglia ancora una volta fare ricorso alla summa grottesca di quanto sopra, riassunta nella formula del “a sua insaputa” (e chissà le risate a Strasburgo…). D’altro canto questi sono i temi prioritari dell’agenda politica attuale: l’agibilità politica del pregiudicato.

Cui si aggiunge l’altra tematica spudorata e fuori dal mondo della data per il congresso Pd; che l’establishment “democratico” vorrebbe rimandare sine die per evitare l’ascesa di Matteo Renzi. Visto come fumo negli occhi non perché lascia intendere di voler perseguire un progetto politico demenziale (prendere i voti dell’elettorato berlusconiano con un programma berlusconiano DOC), ma perché nel frattempo potrebbe sovvertire un po’ di organigrammi. Ci si chiede cosa aspetti ancora l’Altrapolitica per smetterla di cincischiare, mettendo in campo una effettiva strategia di intervento immediato. Tale da creare una alternativa al servizio della serietà; non gag, che neppure fanno più ridere.

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