Le durissime parole del presidente etiope Hailemariam Desalegn, presidente di turno dell’Unione Africana, che lo scorso 27 Maggio aveva attaccato la Corte dell’Aja, accusandola di razzismo e di caccia “agli uomini africani”, sono state un pesante colpo politico e di immagine, per la Cpi. Quelle parole, che hanno scandalizzato la Corte, infatti, aldilà della fondatezza o meno delle accuse che lanciano, sollevano pesanti interrogativi. Basta scorrere sul sito dell’Icc, la cronologia delle notizie relative all’attività del Tribunale e si nota subito come il focus rimanga nella quasi totalità dei casi concentrato sull’Africa. Se poi si volesse discutere solo dei procedimenti effettivamente in corso, tralasciando quelli in fase preliminare, allora il “quasi” verrebbe meno: 8 processi su 8, infatti, riguardano stati africani.

Un dato che da solo non racconta una storia ma che d’altro canto non può essere ignorato. Senza voler in alcun modo sminuire la portata e la drammaticità dei casi all’attenzione della Cpi, e quindi la necessità ed urgenza di giustizia per quelle vicende, emerge prepotentemente la questione della fiducia nell’imparzialità dell’operato della Corte, agli occhi delle popolazioni che hanno subito le violazioni denunciate all’Aia.

Le parole di fuoco, poi, non arrivano da un gruppetto di estremisti, bensi da un’importante organizzazione internazionale regionale, l’Unione Africana la cui idea che l’Aia sia la sede di un “tribunale neo-coloniale” al servizio degli interessi occidentali dovrebbe  preoccupare l’occidente, tanto più perchè inizia a fare breccia anche nell’opinione pubblica africana. Come nel caso del Kenya, dove l’incriminazione del presidente Kenyatta, eletto di recente, è costata alla Corte consensi e supporto. Dalla Cpi rimandano le accuse di “razzismo” al mittente nonostante sia lo stesso Statuto di Roma a rendere estremamente difficoltoso un ipotetico “riequilibrio di attenzione” tra Africa ed Europa: allo stato attuale, le rigide condizioni richieste affinchè venga avviata un’inchiesta da parte del Cpi, rendono remota la possibilità che eventi accaduti sul territorio di uno stato occidentale possano finire nel mirino dell’Aia.

L’Art.5 dello Statuto di Roma, infatti, elenca i crimini sottoposti alla giurisdizione della Corte, definendone – ad oggi- 4 (sebbene, per ora, possa procedere solo contro 3 di questi, essendo la giurisdizione per i crimini di “aggressione” esclusa fino al 2017): genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, aggressione. Aldilà dello stato di salute precario di diverse democrazie occidentali, appare improbabile, ad oggi, la possibilità che le istituzioni dei paesi europei collassino e la tensione tra gruppi salga al punto da scatenare guerre civili o episodi insurrezionali di vasta portata. Quindi, il perimetro d’azione della Corte, si restringe ai  “crimini contro l’umanità”, all’art.7 dello Statuto, dove si elencano una serie di casi tra loro molto diversi per portata ed applicabilità.

Se nei paesi Ue, casi di genocidio e di diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani (ad eccezione delle ferite non ancora rimarginate nell’ex Jugoslavia) sembrano circoscritte a discorsi politici o accademici sull’Africa, non altrettanto può dirsi per la tortura (che ad esempio, l’Italia, non riconosce nel proprio ordinamento) per certe forme di violenta repressione del dissenso o per la discriminazione delle minoranze. Si tratta, a proposito di questi ultimi, di eventi che possono verificarsi anche in nazioni con istituzioni stabili, un buono standard generale di educazione, un livello medio di benessere ed una tutela garantita alle manifestazioni di dissenso.

Violazioni dei diritti umani, quindi, si verificano anche in scenari lontani dall’Africa e pur non raggiungendo quel grado di drammaticità, segnano comunque in maniera indelebile, la storia dei singoli e della collettività. Concettualmente, quindi, uno spiraglio teorico per estendere la giurisdizione anche agli abusi perpetrati nei paesi occidentali da parte dell’Autorità esiste ma è, allo stato attuale di difficile applicazione perchè a monte la Corte, si occupa di casi ritenuti di maggiore gravità; tale è stata considerata la vicenda delle elezioni in Kenya, tali, probabilmente, non sarebbero stati considerati – per fare un celebre esempio- i fatti del G8 di Genova, che nella nota definizione di Amnesty International, sono stati descritti come “la più grave violazione dei diritti umani compiuta in occidente dal dopoguerra”. Il mondo occidentale, quindi, non è sulla carta, immune allo Statuto di Roma anche se nessuno, all’Aia, si sarebbe probabilmente sognato (qualora la Cpi avesse potuto giudicare vicende avvenute prima del 2002) di trascinare alla sbarra il governo italiano di allora per i fatti del G8: sulla base degli orientamenti della Corte, il parametro di valutazione seguito per classificare la gravità degli eventi avrebbe difficilmente convinto la Cpi che di Crimini contro l’Umanità si fosse trattato, come nel 2006 non fu convinta, dalla richiesta di oppositori venezuelani, di intervenire contro Hugo Chavez 

A questo punto però una domanda è d’obbligo; se la Corte è stata istituita per combattere la cultura (internazionale) dell’impunità ma il suo raggio d’azione finisce per concentrarsi, di fatto, solo sui crimini più efferati e quindi, allo stato attuale, solo sui paesi “periferici” (soprattutto della periferia africana) non sarebbe stato più saggio cercare un modello nei tribunali “ad hoc”, come quelli per il Rwanda o l’ex Jugoslavia, istituiti sotto l’egida della Nazioni Unite che pur con molti limiti, hanno mostrato quanto importante sia, poter contare su un ampio riconoscimento internazionale? Inoltre: può un principio universale di giustizia funzionare, se non viene graduato tenendo conto della diversità storica e culturale delle aree del mondo? Infine: può la popolazione africana percepire come “terzo” un tribunale internazionale con sede in Europa (tra l’altro nei Paesi Bassi, certamente tra gli stati più compromessi con il passato coloniale) che, alla data di oggi, vede alla sbarra solo uomini africani?

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