“Le proteste per Gezi Park hanno portato alla luce tutti i difetti e le lacune del governo guidato da Erdoğan, e per la prima volta nella storia della Turchia tutto il popolo si è unito e ha lottato per i propri diritti. Non è più una protesta per gli alberi dell’ultimo polmone verde di İstanbul, anche se il nostro premier continua a sostenere questa teoria. Si parla di democrazia e del diritto di poter lottare per le proprie idee”.
Zehra Doğan ha 24 anni ed è la news director di Jinha, la prima agenzia televisiva curda tutta al femminile, nata nel 2011. Ha seguito, con tutte le sue collaboratrici, le proteste che hanno infiammato la Turchia negli ultimi due mesi. Occhi profondi, capelli corvini e tanta voglia di cambiare il suo Paese, partendo dall’informazione e dal ruolo della donna all’interno dei media turchi. “La maggior parte dei mezzi di comunicazione sono controllati dal governo e si esprimono esclusivamente attraverso un linguaggio maschile e maschilista. Quando abbiamo deciso di aprire l’agenzia, nessuno credeva che saremmo riuscite ad avere successo e fare buon giornalismo. Sono poche le persone che hanno fiducia nelle donne, e troppo spesso ci considerano incapaci ed inferiori. Nonostante le difficoltà iniziali siamo riuscite a costruire qualcosa di diverso e, soprattutto, indipendente”.
È proprio l’indipendenza una delle caratteristiche che manca all’interno del panorama mediatico turco, e le proteste per Gezi Park hanno ampiamente dimostrato l’inefficienza delle maggior parte delle tv e dei giornali. “Da una parte ci sono i media controllati dal governo, privi di qualsiasi libertà, che hanno raccontato le proteste con poca trasparenza e onestà – commenta Zehra – Il governo ha tentato in tutti i modi di insabbiare i fatti, rappresentando i manifestanti come folli devastatori“. Inoltre “morti e i feriti non hanno trovato posto nell’agenda dei media filo-governativi, troppo impegnati a diffondere i discorsi elettorali dei candidati alle prossime elezioni, tentando in tutti i modi di deviare l’attenzione del pubblico.
Dall’altra parte ci sono quei pochi canali televisivi o giornali che, attraverso le dirette da İstanbul e Ankara, hanno raccontato quello che realmente stava succedendo, senza veli e senza paura. Le richieste del popolo turco hanno trovato ampio spazio nella stampa internazionale. Tutto il mondo ha osservato e supportato i manifestanti e in questo modo hanno capito che non erano soli e che era giusto continuare a lottare”.
Non si può parlare di una “primavera turca”, ma sicuramente le proteste delle ultime settimane hanno portato su tutta la penisola anatolica un vento rivoluzionario. “Ora è troppo presto per tirare le somme e definire quale sarà il futuro politico della Turchia – conclude Zehra – Certamente le rivolte hanno riacceso, nelle coscienze di tutti i cittadini, la voglia di cambiare per una maggiore tutela dei propri diritti. Siamo scesi in piazza per dimostrare al governo che non può decidere arbitrariamente. Il popolo è l’elemento fondamentale della democrazia. Queste ultime settimane ci hanno permesso di compiere un passo in avanti verso una maggiore unità e solidarietà”.