“Che ti devo dire… oggi potresti andare a letto con chiunque, ma queste donne ti saltano addosso, oppure c’è sempre un imprevisto, rompono il cazzo. Con una escort, invece, è tutto previsto, rassicurante”. Antonio ha 32 anni, e nelle sue parole c’è il mondo che non ti aspetti: più che trasgressione, voglia di tenere lo scontro fuori dal sesso. L’escort diventa quella che non va subito al dunque, ascolta, rilassa. Soprattutto, ci mette passione proprio perché lo fa per lavoro, magari per finta ma non importa, “tu ci vuoi pure credere come quando vedi un film che ti piace”. Visto dagli occhi dei clienti, quello della prostituzione è un universo lontano da quello raccontato dalle dichiarazioni istituzionali, spesso ignare, più volte ipocrite. Non solo perché a puttane – e soprattutto, sempre di più, a escort, reclutate in rete – ci vanno in tantissimi (l’8,7 per cento degli uomini, secondo gli ultimi dati disponibili del Censis, circa 2,5 milioni), ma perché l’andarci accomuna operai e politici, analfabeti e professori, single e sposati.
Il cliente tipo non esiste
«I più ricchi, da destra a sinistra, fanno feste come quelle di Berlusconi, le affittano per gli ospiti», racconta Matteo De Simone, psicoanalista ordinario AIPsi, che ne ha intervistati a decine per il documentario, girato della figlia Sara De Simone, Il regalo più grande: mio padre incontra una escort. “Le escort guadagnano anche 30.000 euro, ma intorno c’è un indotto impensabile: proprietari di case, parrucchieri, fotografi”. «Eploratori e yo-yoers , compulsivi, permanenti, bookends (che lo fanno all’inizio e alla fine della propria vita sessuale), sempre con la stessa o cambiando: ma il cliente tipo non esiste, c’è solo un uomo qualunque», spiega Giorgia Serughetti, ricercatrice e autrice del libro inchiesta Uomini che pagano le donne (Ediesse). “I clienti sono banali, come quello che cercano: sesso, affetto e comprensione ». Maschi prevedibili, insomma, che infatti chiedono sempre gli stessi servizi, elencati in maniera quasi brutale sul sito Escort forum.com: “baciare”, “blowjob scoperto”, “venire in bocca (con sputo)”, “69”, “sesso anale”, “rapporti ripetuti”, ma anche “conversazione” e “disponibilità”.
Nelle centinaia di recensioni (il sito, insieme a Gnocca forum, è una specie di Trip Advisor del sesso) ricorrono parole come “dolce”, “disponibilissima”, “naturale”, “simpatica”, “delicata”, quasi abbiano paura di rompersi. Ad esempio il 1° agosto, mentre il paese aspettava la sentenza su Berlusconi, Massimo spendeva 150 euro a Palermo per 30 minuti con Natally, “blowjob scoperto da paura, divina!”. Il giorno dopo, Mirko passava un’ora intera con SfiaGe, 250 euro, “per lavoro mi trovavo a Pescara, subito mi ha accolto come se fossimo vecchi amanti, un bacio a te Sofi”. Due giorni dopo, Fabio incontra Lisa, a Desenzano, “in un vicolo lontano da occhi indiscreti, vestitino fuxia, mi dirigo in bagno per lavaggio al fratellino impaziente che vuole conoscere questa stupenda fanciulla”. Eccitazione, linguaggio naif, inviti agli altri a rispettare le escort. Che li portano docilmente in bagno, gli fanno mettere il preservativo, sussurri, sorrisi e l’orgasmo arriva presto. I soldi alla fine, perché l’illusione di autenticità è tutto. “Le più quotate sono le Gfe, Girls friends experience, che ti accolgono come la fidanzata e mitigano l’angoscia degli uomini di fronte alla liberazione sessuale delle donne”, spiega De Simone. “Il sesso è quasi secondario, sempre uguale: rapporto orale, poi completo, a missionario o pecorina, credono di far godere le ragazze, gioiscono dello squir ting, ma è come un copione teatrale, un falso-vero. Chi domina, paradossalmente, è sempre la escort”.
È tarda sera e al telefono la voce sensuale della escort Eroticpassion conferma: “Ho sempre il controllo della situazione, loro si affidano completamente, anche quelli che oggi vogliono essere maltrattati, legati, e si masturbano senza che io mi spogli”. E infatti moltissimi chiamano e basta, “le tariffe all inclusive hanno peggiorato la situazione”, ammette, “sono dei segaioli e chiedono le cose assurde che vedono sul pc, ’ti faccio pipì nella bocca’, poi non combinano nulla. Io comunque gli faccio fare una ricarica paypal da 30 e li lascio sfogare”. In molti l’assillano al telefono – “ho scaricato una app per risalire ai numeri privati” – per il resto la prima telefonata già screma i peggiori. Gli altri, che oggi fanno mezzora invece di un’ora per la crisi, a suo dire escono sempre soddisfatti e ritornano. “Noi donne dobbiamo capire, l’uomo è un animale, sono assetati di sesso e coccole. Qui vengono giovanissimi, anziani annoiati dalle mogli, sfigati, sottodotati: si sentono liberi, spengono il cellulare, poi mi scrivono, come oggi Francesco, ‘Ciao, dea dell’amore, vorrei baciare le tue meravigliose puppe dai capezzoli di giada”.
Quelle ancora sulla strada
La violenza della prostituzione ovviamente resta, soprattutto su strada. Perché mentre il web – dove ci sono soprattutto brasiliane, rumene, giovanissime italiane che stanno guadagnando mercato con prezzi mini – allontana i mediatori e libera le prostitute, su strada restano albanesi, nigeriane, cinesi, con storie a volte tragiche. Ma anche qui, talvolta, il cliente collabora con le associazioni per toglierle dalla strada, a volte le sposa, come è successo a Claudio Magnabosco. Separato, in un momento di crisi conosce una giovanissima nigeriana. E mette su il progetto La ragazza di Benin City, “per sensibilizzare i clienti sul tema della tratta”. Lei, Isoke Aikpitanyi, racconta i clienti della strada in un documento sconvolgente e ironico al tempo stesso: “Persone malate, arrabbiate, oppure migranti, rappresentanti delle forze dell’ordine, perfino sacerdoti. Poi ci sono i clienti ‘polli’ che si fanno rapinare, e i papagiri, ‘gli eunuchi dell’harem’, quelli che arrivano con il caffè ma non hanno il coraggio, ma se viene la polizia ti portano a mangiare una pizza o dal medico per un aborto. Anche se a volte si rovesciano in problema, vogliono salvarti, poi vanno nel panico, raccontano insicurezze e problemi”. E alla fine, il sentimento è quasi di pena, “dovrebbero fare qualcosa di buono per sé”.
Sulla legalizzazione i pareri sono discordi, sull’approccio punitivo molto meno. “Si può rifiutare un cliente o una prestazione, o cambiare luogo di lavoro? Ma questo fa la differenza tra una condizione di libertà e una di dipendenza, mentre oggi sentiamo proposte deliranti di chi ci vede solo come corpi da sfruttare su cui imporre le gabelle”, dice Pia Covre, del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute.. E poi c’è anche la voce di uomini disabili, uomini, appunto, che chiedono sex worke rs legalizzate: “Ci sono madri che masturbano i propri figli e li portano a prostitute: non fare sesso è frustrante”, spiega Carmelo Comisi, giovane tetraplegico, del Movimento Vita Indipendente Sicilia. “Ci sono andato prima dell’incidente, dopo le esigenze cambiano ma un assistente sessuale aiuterebbe, eccome, ma in Italia è tabù”, racconta nascosto dalla compagna Giorgio, 51 anni. E c’è chi, per smontare l’ipocrisia, si è inventato una pagina Facebook , Spotted Togliatti, dove raccogliere le battute dei romani in giro in zona (“Occhio regà altezza cinecittà 2 c’è na biondina che a 100 metri pare na velina, quanno te avvicini pare david guetta»). Una “pagina regina der trucidume, unico spazio nel quale i puttanieri ponno raccontasse esperienze, motivazioni, esigenze e lamentel2 riguardo il servizio pubblico numero uno”. Chi la amministra ha meno di trent’anni, vuole restare anonimo e dice: “I messaggi arrivano da chiunque, giovani e meno giovani, sfascioni e uomini distinti, persone fidanzate, sposate e con figli a carico. In Italia se vai a mignotte sei un pervertito e se sei gay sei un malato, all’estero è tutto diverso. Noi sdrammatizziamo così: ‘cerchi quella rumena che t’ha messo fretta? Cerchi er travella che t’ha menato? Co Spotted Togliatti i desideri diventano realtà. Tutt’anonimo, semo puttanieri mica spie”.