L'indagine avverte che tra rapporti problematici con i fornitori e la scalata delle catene appartenenti al mondo cooperativo, a rimetterci è il consumatore finale, che paga un conto sempre più alto alla cassa. E promette di intervenire anche con i nuovi strumenti previsti dalla normativa
I supermercati hanno sempre più potere. Tra rapporti problematici con i fornitori e la scalata delle catene appartenenti al mondo cooperativo, a rimetterci è il consumatore finale, che paga un conto sempre più alto alla cassa. E’ questa la fotografia dello stato attuale della grande distribuzione organizzata in Italia, ovvero il sistema di vendita al dettaglio effettuato attraverso una rete di supermercati, nell’indagine conoscitiva dell’Antitrust che si è conclusa nelle ultime settimane.
“La crescente concentrazione nel tempo del settore distributivo e il rafforzamento del potere di mercato delle principali catene – secondo quanto lamentato dai produttori – avrebbero condotto a un diffuso sbilanciamento del potere contrattuale nella fase di acquisto dei prodotti”, spiega il dossier, sottolineando che “è cresciuto il ruolo delle centrali di acquisto (attraverso le quali le singole catene contrattano le condizioni con i fornitori) con effetti non sempre benefici per fornitori e consumatori”. L’Autorità garante della concorrenza avverte quindi che “valuterà con attenzione i nuovi assetti di mercato, intervenendo anche con i nuovi strumenti previsti dalla normativa”.
I principali operatori, considerando la presenza e la relativa quota di mercato, sono le catene distributive appartenenti al mondo cooperativo. La Coop detiene infatti il 15% e Conad il 10,5%, mentre tutti gli altri operatori detengono, a livello nazionale, una quota inferiore al 10%. I primi otto coprono complessivamente una quota che non supera il 65%; tra questi, gli unici gruppi della grande distribuzione sono Esselunga e i gruppi francesi Auchan e Carrefour, essendo i rimanenti gruppi tutte catene della distribuzione organizzata. La presenza degli operatori non è però distribuita uniformemente a livello nazionale. L’Antitrust avverte che “le quote di vendita, per quanto contenute a livello nazionale, raggiungono in alcuni mercati locali valori piuttosto elevati, dando luogo a un grado di concentrazione molto alto, che pesa sui rapporti di forza degli attori della filiera”.
Il documento spiega che l’aumento del potere di mercato nei rapporti commerciali con i fornitori “ha effetti non solo sulle condizioni economiche nel mercato a monte dell’approvvigionamento ma anche in quello a valle delle vendite, con possibili ripercussioni a danno dei consumatori finali“. L’indagine fa luce su “criticità tanto nelle caratteristiche strutturali quanto in quelle di funzionamento del settore”, riscontrando in particolare un aumento della problematicità nei rapporti tra fornitori e grandi distributori. La relazione è incrinata soprattutto per quel che riguarda i contributi versati dai primi a fronte della prestazione di servizi offerti (espositivi, distributivi e promozionali), “una voce che in genere incide per circa il 40% sull’insieme delle condizioni economiche trattate”.
Dal dossier emerge infatti che i distributori, nella negoziazione relativa alla vendita dei servizi, “adottano effettivamente comportamenti con i quali condizionano l’acquisto dei prodotti alla vendita del pacchetto di servizi; impongono prezzi di vendita sganciati dalle caratteristiche dei servizi e dall’effettivo vantaggio che da essi deriva al fornitore e forniscono controprestazioni inadeguate al compenso versato, risultando peraltro la verifica di tale adeguatezza non sempre agevole per un piccolo produttore”.
Fondamentale nel rapporto tra fornitori e distribuzione, prosegue l’indagine, è il ruolo delle centrali d’acquisto, che “sembrano avere favorito la trasparenza delle condizioni contrattuali con i produttori, rendendo anche meno fluida la catena delle contrattazioni e riducendo il grado di competizione tra le catene, con effetti negativi sulla riduzione dei prezzi a valle”. Non solo. Anche il fenomeno del trade spending (l’insieme dei compensi versati dai fornitori alle catene distributive per remunerare servizi promozionali, distributivi e di vendita) “sembra aver contribuito, da un lato, ad aumentare la conflittualità tra produttori e distributori e, dall’altro, a indebolire la competizione sui prezzi finali”.