Diritti

Diritti civili e omofobia, la vera emergenza

Per l’ennesima volta tv e quotidiani sono imbevuti della retorica dello shock. Un ragazzo gay di 14 anni si è gettato da un terrazzo condominiale a Roma. E ancora una volta la retorica dello shock è l’aspetto più ipocrita delle stesse dinamiche che hanno causato il suicidio. Non si può rimanere scioccati di fronte a eventi annunciati. Il 25% dei suicidi tra i ragazzi dai 16 ai 25 anni è dovuto all’omofobia. Non possono esserci shock, sorpresa, lutto in eventi che si ripetono continuamente, sempre uguali. Lo shock, la sorpresa e il lutto sono gli strumenti beceri che gli “uguali” usano in questi casi per mascherare il proprio razzismo contro coloro che sono “meno uguali degli altri”; il benaltrismo, il voltarsi dall’altra parte per ignorare la più ovvia e fondata delle sofferenze.

Ovvia e fondata perché c’è un legame indissolubile tra le voragini legali che separano l’Italia dagli altri paesi europei e l’agonia che porta giovani ragazze e ragazzi gay a togliersi la vita. Nell’età in cui più si ha bisogno di accoglienza e accettazione da parte del gruppo di pari, chi si ritrova in situazioni in cui l’omosessualità è ritenuta “strana” e suscita disgusto, paura e diffidenza, non sempre ha la forza di resistere. E se, come in altre occasioni in cui la sfera privata ci si ritorce contro, si cerca aiuto nelle istituzioni e le istituzioni, invece di mostrare sostegno e comprensione, ci sbattono la porta in faccia, anche i più forti possono cedere.

L’eguaglianza nei diritti civili è una delle emergenze più gravi di questo paese arretrato: emergenza perché un gesto da parte della comunità, meglio se nazionale, è in grado di fare la differenza, come dimostrano gli sciami di omosessuali che emigrano in paesi dove la comunità nazionale offre sostegno e garanzie. Non tutti possono emigrare: e chi rimane subisce lo stillicidio.

Come sa bene sia chi è favorevole sia chi è contrario ai diritti LGBT, una legge contro l’omofobia o l’estensione dei diritti di coppia e adozione alle persone LGBT, non sono importanti tanto perché hanno un impatto immediato su una manciata di singoli casi qua e là; sono importanti perché, nel lungo periodo, possono scardinare l’eteronormatività: una cultura in cui l’eterosessualità è la norma morale, e che di conseguenza legittima gli attacchi, fisici o verbali, espliciti o subdoli, in forma seria o di battutina, contro le persone non eterosessuali.

Una cultura apparentemente pacifica e innocua, ma che, come sanno tutti gli adolescenti che si trovano a 15 anni a dare un senso alle proprie pulsioni, pone un masso pesantissimo sulle possibilità sessuali e affettive ritenute legittime. Una cultura che, nel silenzio assordante della sua normalità, fa danni incalcolabili, deforma l’esistenza quotidiana delle persone con tendenze non eterosessuali e le porta a sentirsi diverse, malate, sbagliate, sin dalla tenera età. Porta milioni di persone a reprimere pulsioni naturali per una vita intera, compresi coloro che crescendo si identificheranno come eterosessuali e vivranno un’esistenza apparentemente allineata.

Valanghe di studi scientifici (si vedano su tutti quelli di Henry Adams della University of Georgia) dimostrano infatti che le persone con tendenze omofobe più spiccate hanno anche tendenze omosessuali, che chiaramente reprimono. L’omofobia non è altro che una forma di odio sistemico, scagliata da omosessuali repressi contro se stessi. Se riuscissimo a rendercene conto, e potessimo essere liberi di scegliere il partner che veramente vogliamo senza subire tabù culturali così pesanti, sarebbero felici sia gli omosessuali repressi, che finalmente potrebbero esprimere la propria sessualità, sia quelli dichiarati, che finalmente sarebbero lasciati in pace dai repressi diventati omofobi.

L’eguaglianza nei diritti civili non solo è una delle emergenze più gravi, ma è anche la più ignorata tra le emergenze. Ogni volta che la si nomina, si viene immancabilmente travolti da una valanga di benaltrismo. Che vuoi che sia, il matrimonio gay, di fronte alla crisi economica, la disoccupazione, i guai giudiziari del vecchio maiale, il congresso sulle regole del Pd? Abbiamo altri problemi da risolvere, sarebbe un delitto spaccare adesso il paese su una questione marginale, provocare nuove divisioni nei cattolici, accelerare una crisi di governo (e che governo!).

La verità è che il benaltrismo è una forma di odio, neanche tanto sottile, nei confronti degli omosessuali. Un “chi se ne frega” indirizzato a “quelli lì”, che meno li vediamo e meglio è. Una forma di omofobia come un’altra; come le dichiarazioni di chi dice “io non sono omofobo, ho tanti amici gay”, come risibile formula che si presuppone in grado di difendere dalle accuse di omofobia.  

Così, nel 2013, in linea con la cultura nazional-cattolica di repressione dei propri istinti naturali il nostro sistema giuridico ancora sancisce l’ineguaglianza di certi cittadini di fronte alla legge. Cittadini che pagano le tasse e non hanno mai avuto problemi con la giustizia, ma non si possono sposare. Non possono diventare genitori. Non si possono tenere per mano per strada se vogliono evitare fischi e occhiatacce.

C’è, nell’Italia intollerante e irrancidita dei nostri giorni, una quota di persone di serie B che non solo è enorme, ma è anche in crescita, grazie alle influenze internazionali e a Internet, che permette a utenti con gli stessi interessi di conoscersi, incontrarsi e scoprirsi. Un numero crescente di persone che pian piano prende coraggio e comincia a esprimere la proprie tendenze sessuali e affettive, e che per questo si ritrova con diritti limitati, prospettive professionali inferiori, una qualità della vita più bassa, mille difficoltà che un eterosessuale non dovrà mai affrontare.

Sempre che siano sopravvissute all’adolescenza, visto che gli adolescenti gay si suicidano tre volte più degli eterosessuali. Tutto ciò solo perché una cultura psicoanaliticamente primitiva, che non sa riconoscere il proprio odio interiorizzato e non ne comprende le radici inconsce,  considera ancora gli omosessuali cittadini diversi. Per la precisione, inferiori.

Una cultura dell’inferiorità e della discriminazione che trova il suo sostegno nella religione, nella politica, e infine nella legge, che solo fino a poco tempo fa sostenevano discriminazioni di genere, di razza, di appartenenza politica in tutto e per tutto simili, ma che oggi ci sembrano assurde.

È del tutto ovvio, oggi, che le donne abbiano il diritto di voto, che si possa divorziare, che la violenza sessuale sia un reato contro la persona, che la segregazione razziale sia ripugnante, che i cittadini abbiano il diritto di votare per chi vogliono. Domani sembreranno altrettanto ripugnanti anche le discriminazioni e le umiliazioni inflitte agli omosessuali.

Perché in tema di diritti civili le leggi finiscono sempre per adeguarsi, più o meno velocemente, con o senza strappi, alla società reale. E coloro che oggi inorridiscono per il matrimonio gay domani susciteranno solo sorrisi distratti, come oggi fanno sorridere le invettive di Amintore Fanfani contro il divorzio.

Come fu a un certo punto per il diritto di voto e per il divorzio, il momento è arrivato: non possiamo più aspettare. Non è più lecito rimanere scioccati per il suicidio di una persona che la società, le regole e il mercato del lavoro considerano inferiore, come se questo fosse un fenomeno nuovo che ci trova impreparati.

Perché è già successo troppe volte. Perché è del tutto prevedibile che un individuo che la legge relega in serie B e che viene ogni giorno discriminato, umiliato, offeso, escluso, nella vita privata e dalle istituzioni, soffra talmente tanto da volersi togliere la vita. Chi per indifferenza, benaltrismo o convinzione è parte del sistema che ogni giorno perpetra l’assassinio della dignità e dei diritti degli omosessuali non ha alcun diritto di dirsi scioccato: e le scuse per rallentare il cambiamento sono finite.

Articolo scritto con Barbara Befani (Institute of Development Studies)