Fa caldo nella Roma di questa prima decade d’agosto e ad aspettare l’autobus alle due del pomeriggio fa ancora più caldo. Le vedo dal finestrino del taxi che mi porta dalla Camera all’aeroporto, stanno in piedi sotto il sole, parlano tra di loro e al cellulare sono tutte donne.
Arrivano dalle Filippine, dall’India, dall’Eritrea e dalla Somalia, dal Sud America e dai paesi dell’est. Si lasciano alle spalle situazioni economiche disperate, famiglie da mantenere, bambine e bambini piccoli, per offrirci manodopera a basso costo per quei lavori che nessuno vuol fare: tate, colf, badanti.
Rinunciano al loro ruolo di madri, per fare da “vicemadri” ad altre bambine e bambini, di figlie per fare da figlie alle nostre madri e ai nostri padri, affidando ad altre donne che restano la cura dei propri cari.
Ne stanno arrivando altre, ogni giorno la notizia di un nuovo sbarco.
Cifre a caso che riguardano solo la scorsa settimana nel corso della quale sono stati tratti in salvo circa 580 migranti. A Porto Empedocle sono giunti in 235. A Pozzallo in 110 soccorsi quando erano al largo dalla Sicilia, da un peschereccio liberiano. A Lampedusa 85 a bordo delle motovedette della Guardia costiera dopo essere stati presi in carico dalla nave Asso30. Ad Augusta 149, sulla nave “Libra” della Marina militare che li aveva presi a bordo quando erano 16 miglia da Lampedusa.
Qualcuno vorrebbe non fosse permesso loro di attraccare, seguendo l’esempio della “incivilissima” Malta. Qualcuno vorrebbe rimandarle indietro. E allora penso: se smettessero tutte di lavorare? Se non ce ne fosse più neanche una? E mi rendo conto che le donne italiane che lavorano, a differenza di quanto avviene in molti paesi d’Europa, si vedono costrette a farsi sostituire da altre donne.
Non abbiamo asili nido privati o scuole dell’infanzia a sufficienza. Non abbiamo scuole con un tempo pieno degno di questo nome. Non abbiamo trasporti efficienti che riducano al minimo i tempi di spostamento o pulmini pubblici che portino i nostri bambini a scuola. Non abbiamo servizi per i nostri anziani, né un’assistenza pubblica che si occupi di loro mentre siamo al lavoro. Non abbiamo spesso neanche dirigenti o aziende disponibili a venire incontro alle nostre esigenze di madri e figlie perché questo carico è ancora sulle spalle femminili.
E a uno che Stato non aiuta e agevola si aggiunge l’ormai cronica latitanza degli uomini. Insomma, dopo tutte le battaglie per il femminismo e per la parità, tutti i bei discorsi sulla divisione dei compiti, la realtà è ben diversa. Del tutto svanite le conquiste degli anni ’70 ed esaurita la generazione già molto ridotta di quei mariti modello che si stiravano le camicie, resta solo una certezza: dietro ogni donna che lavora, non importa a quale livello e con quali mansioni, c’è sempre un’altra donna che supplisce.